Archivio mensile:dicembre 2012
The A! of Trio
Ogni volta che assisto ad un concerto fatto da giovani, immancabilmente la sala è strapiena. Buon segno. I giovani in questione sono Francesco Pierotti (contrabbasso), Enrico Zanisi (piano), Fabio D’Isanto (batteria). Presentano il loro disco “A!”, composto di brani originali a firma di Pierotti, ma anche di Zanisi e D’Isanto.
La prima cosa che mi viene in mente, fin dall’attacco, sono certe atmosfere alla Lyle Mays. Zanisi esegue degli accordi su figure medie o lunghe, ai quali si affianca poi la batteria con un tempo slow rock. Su tutto si innesta poi il contrabbasso, che incanta per la sua apparente “non urgenza”, il suo rimanere quasi in disparte, comunque dicendo la sua. Tutti e tre suonano con una impronta cameristica, non sovrastandosi gli uni con gli altri ma rimanendo ensemble. Anche quando l’energia sale, come nei repentini ed energici raddoppi di Zanisi o negli interplay più aggressivi, tutto rimane filtrato da una grande sensibilità, sensibilità apprezzabile in ogni musicista e tanto più in musicisti così giovani.
Ma l’evocazione musicale di questo trio non si ferma alle citate atmosfere maysiane. Proseguendo l’ascolto, nella affollata grotta del 28DiVino Jazz dove il progetto è nato circa un anno fa, percepisco Haydn, Sibelius. In particolare nei finali, nei quali spesso il pianoforte rimane da solo ed esegue delle cadenze classiche, con tanto di movimento delle parti e contrappunto. Impossibile, poi, non pensare a Brad Mehldau ed al suo trio; e non solo per l’atmosfera da “terza corrente”, ma anche per la scelta di titoli come Dreaming About Torino o Livorno, che rimandano esplicitamente all’album Places.
Tutto il concerto è al servizio della poetica di Pierotti, il quale circoscrive molto bene l’ambito nel quale ha scelto di esprimersi: tempi semplici (a parte il difficilissimo e riuscitissimo 13/8 di Bipolarity), temi lirici suonati per lo più nel registro medio del contrabbasso, cura dell’approccio compositivo, efficacia mai sopra le righe dell’approccio esecutivo.
Indiscusso l’apporto di Enrico Zanisi, vincitore tra l’altro del premio Top Jazz 2012 come “miglior nuovo talento”, e prezioso il contributo di Fabio D’Isanto, con il suo punteggiare il tempo con maestria e creatività.
Sentirò parlare a lungo di questi musicisti. Una convinzione ed un augurio. E quando li vedrò su qualche importante palco italiano o internazionale potrò dire: “L’avevo scritto, io!”

Have A Jazzy Christmas!
Divieto di Blog
Ebbene sì, prima o poi sarebbe capitato, ed ecco che càpita. Mi trovo a recensire me stesso, o meglio il mio quartetto Jazz, i Divieto di Bop. Ci siamo formati alla fine del 2009, e siamo uno dei pochi gruppi di Jazz che possono vantare al loro interno la rappresentanza di tutte le categorie sociali: un lavoratore dipendente, un libero professionista, uno studente, un pensionato.
Nonostante il nostro lavoro principale sia un altro, quello del musicista rimane per ognuno di noi il mestiere del cuore. E la passione, per tutti, parte da lontano. Quella di Lamberto Armenia, sax alto, si è sviluppata ed ha preso forma anche e soprattutto grazie all’influenza ed alla amicizia con Massimo e Maurizio Urbani. La mia nasce dal mio incontro, molti anni fa, con due musicisti che amo particolarmente, e dei quali mi pregio di essere amico: Pierpaolo Principato e Fabio Tullio. Marco Piersanti, contrabbasso, è lo studente del gruppo: anche lui ha iniziato lo studio dello strumento tanti anni fa, quando da adolescente si è avvicinato al basso elettrico per proseguire poi anni dopo con il contrabbasso. E infine Rino De Lucia, già membro dello storico gruppo dei Romans con i quali, negli anni d’oro della Dolce Vita, si esibiva nei locali più alla moda di Via Veneto e con i quali ha anche girato un film con Silvana Pampanini, “Mondo pazzo, gente matta”.
Ed eccoci qui, ieri sera, nel pariolino Ristorante Sesto, protagonisti della serata Jazz Christmas, a ripercorrere alcuni dei brani della tradizione jazzistica, privilegiando i più easy quali One Note Samba, The Girl From Ipanema, How Insensitive, Ceora, conditi con standard come There Will Never Be Another You, Beautiful Love, Stella By Starlight, Body And Soul, e senza tralasciare classici di Natale quali Santa Claus Is Coming To Town, Have Yourself A Merry Little Christmas, Sleigh Ride, Winter Wonderland.
Quello che ci stupisce sempre, quando suoniamo in contesti nei quali il pubblico non è costituito da jazzofili, è il gradimento riscontrato nonostante la oggettiva difficoltà insita nell’ascolto di musica strumentale per di più basata sull’improvvisazione. Bellissimo quando succede che magari un ragazzo, il quale fino a ieri si è nutrito solo di musica pop o dance, incuriosito, si avvicina per acquistare il nostro disco. È ovvio che la cosa ci fa piacere, ma non è solo perché questo gratifica il nostro ego di musicisti; anche e soprattutto, è per la consapevolezza che, forse, abbiamo contribuito a diffondere quella che per noi è la più bella forma musicale del mondo.
Link correlati
La pagina wikipedia sui Romans

The Danish Connection sfida l’ispettore Clouseau
È una mia tara o il vibrafono è uno strumento magico che ci fa di colpo sentire protagonisti della Pantera Rosa? È solo nostalgia o le Vibes sono l’emblema inconfondibile delle orchestre degli Anni Sessanta?
Ecco, con queste domande nella testa mi accingevo, giovedi sera al 28DiVino Jazz, a farmi coccolare dalle note di una formazione inconsueta, fatta da musicisti provenienti da nazioni diverse: Francesco Lo Cascio (vibrafono) e Pasquale Innarella (sassofoni) dall’Italia, Erik Ørum Von Spreckelsen (piano), Tony Cigna (batteria) e Francesco Cigna (Chitarra) dalla Danimarca, Johnny Åman (contrabbasso) dalla Svezia. Il gruppo ha, tra l’altro, anche la peculiarità di riunire, dopo ben trentadue anni che non si vedevano, i vecchi amici Francesco Lo Cascio e Tony Cigna, i quali ai tempi del loro ultimo incontro, a Palermo, non erano nemmeno musicisti!
Il film inizia, e l’ispettore Lo Cascio/Clouseau gioca il primo ciak con un classicissimo You Don’t Know What Love Is, scritto nel 1941 da Gene De Paul e Don Raye. Strano ma qui non c’è traccia dell’imbranataggine di Clouseau; solo la sensibilità di Lo Cascio, che accompagna con discrezione e rilassatezza il tema, esposto con schiettezza irpina da Pasquale Innarella e dal suo sax contralto. Anche il suo nemico di sempre, Ørum Von Spreckelsen/Dreyfus, non sembra voler dare subito l’affondo di cui sarebbe capace, e medita nervosamente accompagnando come un cavallo al trotto, che vorrebbe liberare tutta la sua energia ma viene trattenuto dal suo driver. E qui il driver è Francesco Cigna, giovane e sensibile chitarrista, che non cerca mai di dimostrare nulla se non che il Jazz, a ben guardare, è un po’ come il buddismo, una filosofia di vita che ci fa rimanere distaccati ma al tempo stesso ci fa penetrare nella più profonda essenza delle cose; un driver con l’apporto metronomico, quasi svizzero (tanto per aggiungere un’altra nazione alla Connection), di Johnny Åman e Tony Cigna, i quali forniscono una pulsazione sempre in avanti.
Si passa così attraverso le varie scene di questa Pantera Rosa del 2012. Ed ecco Oleo, il famoso brano di Sonny Rollins, preso a 200 battiti al minuto, con il tema eseguito all’unisono da piano, vibrafono e chitarra. Il primo solo è di Lo Cascio, che riesce sempre a trovare nuove scomposizioni ritmiche del tempo, usando arpeggi quartali e diminuiti, scale bebop o alterate, sapientemente mescolate in frammenti di un puzzle che riesce sempre. Poi arriva la chitarra di Francesco Cigna, che ci avviluppa e ci convince che il Jazz è davvero tutto nella vita. La scena prosegue, con Pasquale Innarella e le sue arrampicate dal registro medio fino ai sovracuti, condite da un uso moderno delle pentatoniche prese sempre da punti diversi della scala con quel tipico effetto in&out, dentro e fuori dalla tonalità. Ed è la volta di Ørum Von Spreckelsen ed il suo pianismo che tanto ricorda Sonny Clark, mentre il contrabbasso accompagna su un pedale in due per poi, quando la tensione è salita, tornare in quattro. Yeah! Arriva infine il batterista Tony Cigna, che inizia a dilatare i suoi colpi fin quasi al silenzio, riuscendo ad aggiungere togliendo.
Manca solo Åman/Kato perché i personaggi del film siano completi, e finalmente arriva anche lui con l’assolo su Lover Man, la famosissima canzone di Davis/Ramirez/Sherman del 1942, con un fraseggio agevole, swing, quasi chitarristico vista la facilità dell’approccio ad uno strumento, il contrabbasso, che fra tutti gli strumenti musicali è quello con la forma più sensuale.
Si arriva al termine della serata, ed ancora una volta si va sul classico, con un blues in Fa. Anche qui si percepisce l’ispirazione zen del Jazz, la rilassatezza dei musicisti che è preludio ad una performance di grande impatto, sulle nostre orecchie e sul nostro cuore. Il film finisce, i titoli di coda scorrono. Ed io, che ormai ho perso il sonno, corro a casa a vedermi La Pantera Rosa.

Effetto note
Avete presente un brano di George Gershwin? Probabilmente così su due piedi non riuscite a pensare nemmeno un titolo. Al massimo direte: Summertime. Eppure, se pescate dal songbook di questo grande compositore americano, molti saranno i brani che vi sorprenderete a riconoscere e ad amare. Roba vecchia? Perché, Mozart o Beethoven sono roba vecchia? Proprio come Mozart o Beethoven non smettono di essere attuali, così Gershwin continua a meravigliarci con la sua estatica semplicità, a versare nel nostro bicchiere un cocktail di note dal gusto classico e inconfondibile, fresco e godibile.
Niente di meglio, per gustare questo cocktail, che ascoltare il duo Lucarelli/Gioia come mi è capitato di fare ieri sera al 28DiVino Jazz. E mentre le cadenze accarezzano i miei padiglioni auricolari, riscopro la bellezza della nona bemolle o il fascino di un anatole. Ascoltando But Not For Me penso che Vincenzo Lucarelli è il complemento pianistico perfetto al flicorno di Giambattista Gioia. E viceversa. E su un pedale che fa da impalcatura ad una swingante versione di I Got Rhythm, rimango stupefatto da come i due si mettano al servizio del brano senza sovrastarlo. Incredibile: dopo una estenuante giornata di lavoro mi ritrovo sulle panchette imbottite del 28 a struggermi sulle note di Embraceable You senza rimpiangere di non essere andato a letto presto. Colpa di George Gershwin, Vincenzo Lucarelli, Giambattista Gioia e dell’effetto magico di queste note immortali.

Animali urbani
Giampiero Rubei è il padrone di casa della serata di ieri, alla Casa del Jazz. È lui che presenta l’evento, lui che si fa portatore dell’emozione nel ricordo di Massimo Urbani, da tutti riconosciuto come un grande sassofonista italiano e internazionale. “Era da tempo che dovevamo fare questa serata”, dice Rubei. Ma non è solo al sassofonista, di cui il prossimo anno ricorrerà il ventennale della morte, che Rubei si riferisce: si riferisce anche all’uomo, all’amico, al fratello.
Maurizio Urbani, fratello di Massimo, presenta il quintetto Animali urbani, con il quale ha in progetto di realizzare il disco Song For Max, che sarà edito da Videoradio/Raitrade. Il quintetto comprende, oltre a Maurizio Urbani (sax tenore): Federico Laterza (piano e tastiere), arrangiatore di tutti i brani e autore di alcuni, Claudio Corvini (tromba), Daniele Basirico (basso elettrico), Alessandro Marzi (batteria).
Prima del concerto c’è la proiezione del documentario Massimo Urbani nella fabbrica abbandonata di Paolo Colangeli, una bella intervista uscita postuma nel 1995. In questo filmato viene fuori l’umanità di Massimo, la sua intelligenza ma anche la sua emarginazione. Su tutto scorrono le note del suo sax, quando sentimentali e quando selvagge, dalle quali traspare quello che era il suo mondo musicale ed i suoi riferimenti, musicali e non. Da Sonny Stitt a Jimi Hendrix, da John Coltrane a Giacomo Puccini, Massimo racconta come sia stato influenzato dai suoi ascolti e come al tempo stesso li abbia rielaborati per poi diventare Massimo Urbani. È commovente e anche interessante sentirlo parlare dei suoi problemi con la droga. Il filmato è ulteriormente condito da immagini notturne di Roma le quali, unite al suono struggente del sassofono, creano un suggestivo effetto filmico.
Nel frattempo i musicisti hanno preso posto sul palco. E si parte con Animali urbani, la traccia da cui il quintetto prende nome. Il ritmo è funky/fusion, e Laterza accompagna con il piano doppiato da un synth pad controllato da una tastiera midi. L’atmosfera è decisamente anni 80. Il primo solo lo prende Urbani, che approccia alla David Sanborn, ma con il tenore; e d’altra parte la sequenza modale di accordi è un invito a nozze per questo tipo di sound, nel quale Urbani riesce benissimo. Poi è la volta di Corvini, che apre da par suo la partita introducendo un ulteriore livello di complessità, sempre in bilico perfetto tra in & out, dentro e fuori dalla tonalità.
Anche nel secondo brano, Joy Spring di Clifford Brown, benché sia un brano classico, l’approccio è “fusion“, con un ostinato iniziale del piano che fa da lancio al tema. Il primo assolo è di Urbani, il secondo di Corvini, il terzo di Laterza. Stavolta si aggiunge un quarto solista, il bravo Daniele Basirico, che alla fine del suo intervento riprende l’ostinato inizialmente eseguito dal piano per rilanciare il tema finale. Ma quando il brano sembra ormai concluso, ecco che Laterza riapre il match, dando il via ad una improvvisazione collettiva finale. Il terzo brano conferma l’ambientazione: Laterza doppia di nuovo gli accordi di piano con il synth pad, e Corvini aggiunge la sordina creando una sonorità alla Miles. Il tutto con grande equilibrio e gusto.
La serata prosegue limpida e solare: si succedono la ballad Soul Eyes di Mal Waldron, molto amata da Massimo Urbani, introdotta al piano con il tema di Don’t Forget The Poet di Enrico Pieranunzi, e poi Resolution di John Coltrane (aggressivo al punto giusto il solo di basso elettrico accompagnato dal sintetizzatore), Estate (Bruno Martino), Distratto Man di Federico Laterza (misurato ed elegante il solo di batteria di Marzi prima della ripresa del tema), This I Dig Of You (Hank Mobley).
Un ultimo blues, e la serata sfuma nella pioggia che ci coglie all’uscita. Una vena malinconica che non guasta, se pensiamo ad un grande musicista che non c’è più ma che continua a vivere nei cuori e nei player degli appassionati.

Riferimenti web:
Live Remembered: David Kikoski Trio @ Casa del Jazz
Era il 14 luglio 2012, e la notte si preannunciava calda. Niente di meglio che andare alla Casa del Jazz: il palco era in giardino, per cui potevo per lo meno aspettarmi un maggior fresco che in casa; e poi c’era il trio di David Kikoski, con Ed Howard al contrabbasso e Nicola Angelucci alla batteria, ed ero curioso di ascoltarlo. Kikoski è alto, magro, e mentre suonava sembrava snodarsi in tutte le sue articolazioni. Ma il suono che usciva era cristallino, limpido, summa e rielaborazione di quanto di meglio fatto a partire da Bill Evans, passando per Keith Jarrett per arrivare a Brad Mehldau. Un pianismo ricco di tradizione, ma con un tocco di modernità.
Ora sto seduto nel mio studio, ascoltando il CD “Consequences”, con Christian McBride al contrabbasso e Jeff “Tain” Watts alla batteria, e provo le stesse emozioni. I brani sono quasi tutti composti da Kikoski, eccetto Blutain e Mr. JJ, composti dal batterista Jeff “Tain” Watts, e Never Let Me Go, di Ray Evans e Jay Livingston. E mentre i brani di Watts sono maggiormente ispirati al blues e alla tradizione, quelli di Kikoski attingono maggiormente da un background classico con qualche influenza pop/rock. Un disco godibile, moderno, che rinnova ottimamente la tradizione del trio.
Sì, penso che la mia libreria ospiterà molti dischi di questo bravo pianista.
It was July 14, 2012, and the night promised to be hot. Nothing better than going to the Casa del Jazz: the stage was in the garden, so I could at least expect more fresh than at home; moreover, there was the David Kikoski trio, featuring Ed Howard on bass and Nicola Angelucci on drums. I was really curious to listen to this trio.
Kikoski is tall, thin, and seemed to twist while playing in all its joints. But the sound that came out was crystal clear, a summa of the best work done from Bill Evans to Keith Jarrett to Brad Mehldau. A playing rich in tradition, but with a modern touch.
Now I’m sitting in my studio, listening to the CD “Consequences”, with Christian McBride on bass and Jeff “Tain” Watts on drums, and I feel the same emotions. The songs are almost all composed by Kikoski, except Blutain and Mr. JJ, composed by drummer Jeff “Tain” Watts, and Never Let Me Go, by Ray Evans and Jay Livingston. And while the songs of Watts are mostly inspired by the blues and tradition, those of Kikoski draw more from a background with some influence from classic pop / rock. A disc enjoyable, modern, well renewing the tradition of trio.
Yes, I think my bookshelf will host many records of this amazing jazz pianist.
