Anche il Califfo va via

Anche Franco Califano ci lascia. Il Califfo, di origine salernitana ma incarnazione della romanità nel bene e nel male, ha vissuto di eccessi, quegli eccessi che forse sono stati anche la chiave delle sue interpretazioni. Sempre in grado di regalare emozioni, ci ha lasciato i testi di alcune belle canzoni. Di qui a poco avrebbe reinterpretato jazzisticamente alcune famose canzoni romane, e sarebbe partito per un minitour accompagnato da batteria, contrabbasso e pianoforte.

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Franco Califano

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A Pinky Diamond

Gloria TrapaniMi sento subito al sicuro, fin dal momento in cui Gloria Trapani presenta il suo quartetto con Luigi Di Chiappari al piano, Alessandro del Signore al contrabbasso e Mattia Di Cretico alla batteria. Tutti ottimi musicisti, tutti abbastanza giovani da non poter essere ritenuti “vecchia politica della musica”. E si parte per questa serata conclusiva del Pinky High Jazz, la rassegna al femminile del 28DiVino.

La freschezza di questo progetto, che verrà pubblicato a breve per l’etichetta Terre Sommerse con il titolo Rough Diamond, la si legge negli occhi di Gloria: ogni brano, ogni frase melodica, ogni parola del testo, ogni accordo ed ogni nota hanno una loro storia, che l’artista ha cura e modo di raccontare, rivivendola insieme alla numerosa platea del sabato sera. E la si assapora come la buona cucina, che vuole spazio per il gusto ma anche per la forma. Il gusto è nel suono, che per certi versi rimanda ai cantautori americani e per altri a certe atmosfere funky/fusion. La forma è invece nell’estetica di ogni singolo brano.

Come in Wild Flowers, ballad che ad una introduzione dilatata fa seguire un leggero funky condito di accordi sospesi, metafora del selvaggio che c’è anche nel più mite di tutti noi. O come in Silence, che ricrea con la musica il silenzio stesso, non certo alla maniera di John Cage ma, al contrario, con l’uso pieno dei tre strumenti a disposizione, piano contrabbasso e batteria, qui con il contrabbasso suonato ad archetto.

La notevole sensibilità di questa artista, lungi da stucchevolezze di sorta, è ben compendiata dal suo gusto compositivo. Autrice di tutti i brani del disco, Gloria predilige ritmi lenti con accenni funk ma non disdegna tempi dispari come il 3/4, o come il 5/4 di Tutto cambia. La sua voce è semplice, diretta, non mente agli ascoltatori. Una voce che non cerca di essere diversa e che, proprio in virtù di questo, finisce per essere la quintessenza stessa della voce, senza bisogno di paragoni di alcun tipo.

Bravi i suoi compagni di viaggio. Mattia Di Cretico è sempre attento, pulito, ben calzante rispetto ad un progetto che sta in equilibrio tra Canzone e Jazz. Alessandro Del Signore è anche lui in perfetta aderenza e sintonia. E Luigi Di Chiappari fa ottimamente da cardine tra ritmica e voce, contribuendo con i suoi assoli a spezzare la metrica dei brani e ritagliandosi un momento suo, momento nel quale non è il brano ma il pianista a dettare le regole.

Belle le versioni di Well You Needn’t di Thelonius Monk, il cui tema viene eseguito in stop time, e di Afro Blue di Mongo Santamaria, brano nel quale Di Chiappari ha modo di scatenarsi con un solo che si spinge fin nei territori dell’atonale, con uso di accordi ribattuti e di pedali estemporanei, ben sostenuti da Del Signore e Di Cretico, fino ad un walkin’ che fa da interludio e da premessa per un altrettanto splendido assolo di contrabbasso. E bella l’interpretazione di Amelia, di Joni Mitchell, resa da Gloria Trapani con intensa semplicità.

Insomma, un progetto fresco, nuovo, in cui la Canzone ben si sposa con il Funky e con il Jazz. Mi sa che me lo compro, il disco!

Addio ad Enzo Jannacci

JannacciSi è spento Enzo Jannacci, poco fa verso le 20,30. È stato un cantautore, cabarettista, attore e cardiologo italiano.

Nato a Milano il 3 giugno 1935, dopo la maturità classica si laurea in medicina all’Università  degli Studi di Milano, specializzandosi in chirurgia generale ed esercitando la professione di medico chirurgo per alcuni anni. Nel frattempo inizia la carriera di musicista: dopo il diploma in armonia ed otto anni di pianoforte al Conservatorio di Milano (studia con il maestro Centemeri, insegnante dei più noti orchestratori d’Italia quali il Maestro Giampiero Boneschi, il Maestro Pino Calvi ed altri), si accosta al jazz e comincia a suonare in alcuni locali milanesi. Successivamente scopre anche il rock’n’roll, e dal 1956 diventa il tastierista dei Rocky Mountains, che si esibiscono alla Taverna Mexico, all’Aretusa ed al Santa Tecla. Alla voce c’e’ Tony Dallara, in seguito sostituito da Giorgio Gaber.

Suona con Stan Getz, Gerry Mulligan, Chet Baker e Franco Cerri, con i quali registra numerosi dischi di jazz. Determinante la sua amicizia con Bud Powell, il quale gli insegna a lavorare sulla tastiera prevalentemente con la mano sinistra.

Ha registrato quasi trenta album, alcuni indimenticabili.

Un genio della musica, un genio del cabaret o forse, più correttamente, semplicemente, un genio. Ci mancherà.

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Enzo Jannacci su Wikipedia

Piano americano

Quando si incontrano un pianista italiano come Domenico Sanna e due “ritmici americani” come Ameen Saleem (contrabbasso) e Dana Hawkins (batteria) non si può rimanere a casa; ed è per questo che ieri sera ho voluto esserci, alla seconda delle tre serate del trio, all’Alexanderplatz. Il locale, tanto per iniziare, era pieno fino al colmo. Avventori su ogni tavolino, musicisti e amici su ogni strapuntino, tutti lì per celebrare il Jazz, oltre che per ascoltarlo. Perché il jazz club è anche questo, un luogo di incontro per appassionati, sia musicisti che fruitori, che si ritrovano ogni sera insieme per un vero e proprio rito, che ha le sue consuetudini e le sue regole non scritte.

Di sicuro si realizza una osmosi quando culture musicali diverse si uniscono in un pur minimo ensemble quale è questo Society Games Trio, ed in questo caso l’osmosi è tra un pianismo di ispirazione europea ed una concezione ritmica americana nella sua forma più moderna. “Semplicemente suono il basso. Non saprei dire il genere: improvviso, ascolto, e cerco la mia strada all’interno del groove“, dice Ameen Saleem a proposito di sé. Ed ascoltando il concerto di ieri sera mi viene da pensare che questa filosofia sia stata mutuata da tutti e tre gli elementi del Trio.

Sanna sembra felicemente dotato di una esplosività controllata, che gli consente di passare con naturalezza da momenti intimisti quali l’introduzione, suonata in piano solo, di The Way You Look Tonight, che lascia la sala col fiato sospeso sopra i bicchieri di vino ed i dessert, al bop più spinto della parte successiva, quando si lancia in un assolo a tempo raddoppiato sospinto ed a tratti incalzato da Saleem ed Hawkins. Incalzato da un contrabbassista che sembra alla continua ricerca del suono, della nota, ma nella incarnazione più materiale piuttosto che in quella più eterea di una semplice armonica. E questa sua ricerca si manifesta non solo nel suo playing ma anche nei continui aggiustamenti di accordatura, nella disputa (non sempre vinta) con il jack della cassa monitor che proprio non vuol saperne di non gracchiare ogni tanto, nel pizzicare le corde con energia tale da farne uscire una dall’incavo del ponticello, dal suo togliersi il berretto e poggiarlo sul riccio del suo strumento. Una insofferenza costruttiva che apprezzo. E apprezzo, allo stesso modo, la gioiosa scoppiettanza di Hawkins il quale, lungi dall’essere una costruzione a tavolino di ciò che un batterista deve o dovrebbe forse essere, è coerentemente se stesso ed il suo strumento, in un tutt’uno impossibile da scindere. Per fortuna, perché secondo me è così che un batterista dovrebbe essere!

Insomma, Domenico Sanna è diventato un po’ americano suonando con questo Trio. Interessante il suo arrangiamento di Evidence, di Monk, che mi ricorda vagamente l’ostinato ritmico di Invisible People degli Yellowjackets; divertente D.D.J.L. (Jaki Byard), che mi era parsa la versione storta di I Got Rhythm (George Gershwin), suonata con rilassatezza ad un tempo metronomico vertiginoso; coinvolgenti le esecuzioni di Pinocchio (Wayne Shorter) e di LM (Daniele Tittarelli). Cito infine due brani a firma di Domenico Sanna, nuovi di zecca e pertanto ancora senza titolo, che non hanno mancato di solleticare i palati dei jazzofili presenti.

Un concerto di quelli belli, pieni di mood. C’è bisogno di dire altro?

Domenico Sanna con Ameen Saleem e Dana Hawkins

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Profilo Myspace di Domenico Sanna

Ameen Saleem Bio (in inglese)

In ricordo di Massimo Urbani

Il 24 giugno 1993 moriva Massimo Urbani, uno dei più grandi altosassofonisti jazz italiani. In occasione del ventennale della sua morte Jazz@roma ha intenzione di ricordarlo postando alcune interviste ad amici e musicisti che lo hanno conosciuto e vissuto da vicino. Nel frattempo, vi invitiamo a guardare questo cortometraggio di Paolo Colangeli, che lo mostra in tutta la sua umanità e grandezza.

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Animali urbani

Jammin’ @ Cantù Jazz Cafe

Ero andato a vedere il quartetto di Marta Capponi, ieri sera al Cantù Jazz Cafe, il locale che fu di proprietà dell’attore Franco Franchi. Ma il freddo, gli strapazzi, il viaggio da Londra dove si è recentemente stabilita, non hanno giovato a Marta che è rimasta a casa con la febbre. I suoi compagni hanno allora animato la serata prima in trio e poi, visti anche i numerosi musicisti presenti, è partita la jam session. Va detto che non è facile vedere jam di questa portata, oggigiorno, tanto che per un attimo mi è sembrato di vivere ai tempi del Minton’s Playhouse, il locale sulla 118a Ovest di New York dove Dizzy, Bird, Monk e altri diedero vita a quel sottogenere jazzistico in seguito battezzato bebop.

Ed eccoci qui, oggi, in un caffè romano, ad ascoltare musicisti del calibro di Domenico Sanna mentre esegue The Way You Look Tonight smozzicando magistralmente il tema e facendolo suonare proprio come un tema jazzistico deve suonare, incerto ma sicuro di sé, aspro ma dolce, irriverente ma rispettoso; del calibro di Vincenzo Florio, collaudato contrabbassista da alcuni anni sulla scena musicale romana, che riesce ad essere sempre puntuale sul time ma anche lui con quel grado di incertezza che fa tanto Jazz; e del calibro di Emiliano Caroselli, che seguo già da qualche tempo e che non smette mai di sorprendermi per la capacità di essere sempre qui ed ora con la sua batteria, con classe ed eleganza, ieri in punta di spazzole visto l’ambiente fortemente riverberante e visto il rumore di fondo generato dal chiacchiericcio dei tanti avventori del Caffè.

Dopo una rielaborazione di Evidence di Monk, dopo l’esecuzione di Body And Soul e di Nobody Else But Me, sul palco hanno cominciato ad avvicendarsi i vari musicisti. Ne cito solo alcuni: Chiara Izzi, che ha cantato Blue Trane e Honeysuckle Rose, Andrea Rea (piano), Riccardo Gola (contrabbasso).

Quello che colpisce, anche ascoltando una jam session, è l’alto livello di tanti musicisti e, purtroppo, la sempre troppo poca attenzione nei loro confronti. Auspico che locali come il Cantù Cafè diano, a loro ed ai loro progetti, sempre più spazio, in modo che la cultura jazzistica possa crescere ed attecchire anche e soprattutto presso le nuove generazioni.

Swinging @ Casa del Jazz

Count Basie, Duke Ellington. Le grandi orchestre rivivono grazie alla New Talents Jazz Orchestra diretta da Mario Corvini. Diciassette giovani musicisti, quattro trombe quattro tromboni cinque sax chitarra piano contrabbasso e batteria, danno vita ogni domenica a mezzogiorno, alla Casa del Jazz, ad un emozionante concerto che ripercorre le tappe della swing era proponendo brani di Thad Jones, Buddy Rich, Count Basie ed altri.

L’esecuzione dei brani è piacevolmente inframezzata dai richiami storici di Corvini, che racconta con dovizia di particolari di come si sia passati dalle piccole formazioni degli anni Venti, dove il ruolo del contrabbasso era svolto dal basso tuba, alle big band degli anni Trenta; di come Duke Ellington abbia avuto l’intuizione di riproporre le sonorità tribali, patrimonio culturale degli afro-americani, su una struttura armonica complessa mutuata dalla musica colta dell’epoca e da compositori quali Stravinskij e Shostakovich, inventando lo stile jungle che prese piede nelle ballroom (il Jazz, ci ricorda Corvini, nasce come musica da ballo). Divertente il siparietto che si è creato quando Corvini ha spiegato il suono creato dal plunger, una sordina che somiglia ad uno sturalavandino.

Ma parliamo di questi giovani e promettenti ragazzi, tutti tra i 19 ed i 26 anni, che hanno swingato con grande classe ed offerto al numeroso pubblico presente un prezioso saggio del suono delle big band. Compatti e ben affiatati, hanno aperto con Dedication di Thad Jones. Nell’introduzione, fedele all’originale, sul pedale eseguito dalla sezione ritmica si è innestato il trombone di Corvini. Sempre fedelmente all’originale, l’atmosfera cupa, su tempo lento, ha poi lasciato il posto ad uno swing a tempo raddoppiato. L’assolo, lunghissimo, è stato del saxtenorista Danilo Raponi, che ha mostrato di muoversi con scioltezza sul terreno del blues, prendendo a volte dei riff o dei growl anche e soprattutto quando interveniva il background dei fiati a supportarlo. Infine, uno special della sezione trombe ci ha riportati all’atmosfera iniziale, per poi chiudere.

Di più e più brevi gli assoli su Big Swing Face di Buddy Rich, eseguiti da Luca Berardi (chitarra), Marco Silvi (piano) e Diego Bettazzi (sax alto). Interessante il confronto, reso possibile dalla esecuzione di entrambi gli arrangiamenti, dei brani Concerto for Cootie, dedicato da Duke Ellington a Cootie Williams, e di Do Nothing Till You Hear From Me, in pratica lo stesso brano ma nella versione di Sammy Nestico.

Una bella mattinata, ottima per rinfrancare lo spirito con qualcosa di bello ed istruttivo, magari una occasione per far conoscere ai propri figli la bellezza del suono di strumenti veri, che hanno innalzato gioiose architetture sonore e accarezzato le orecchie degli spettatori.

Ed un plauso a Mario Corvini, che ha senz’altro il merito di dare spazio ed attenzione a dei giovani musicisti i quali, diversamente, non avrebbero visibilità e nemmeno occasioni per crescere e per farsi notare. Hai visto mai che i giovani, dopo aver riempito il Parlamento, inizino a riappropriarsi di spazi che troppo a lungo sono stati loro tolti?

Fino al 24 marzo, tutte le domeniche alle 12.00 alla Casa del Jazz (esclusa domenica 17 marzo)

New Talents Jazz Orchestra

Link

dal sito della Casa del Jazz

Addio ad Armando Trovajoli

Armando Trovajoli inizia a suonare jazz in giovane età, a partire dalla seconda metà degli anni Trenta. Nel 1949 suona in trio al Festival du Jazz de Paris, con Gorni Kramer e Gil Cuppini, e poco dopo gli viene affidata la direzione dell’Orchestra della RAI, alla quale dà una netta impronta jazzistica.

Successivamente avvia la sua attività di compositore. Inizialmente per la commedia teatrale, collaborando a lungo con Garinei e Giovannini, e poi anche per il cinema, firmando la colonna sonora di film quali C’eravamo tanto amati, Profumo di donna, Una giornata particolare, Riso amaro. Roma nun fa la stupida stasera, Ciumachella de Trastevere, Aggiungi un posto a tavola sono tra le sue più famose canzoni.

Ha suonato con Duke Ellington, Louis Armstrong, Miles Davis, Chet Baker, Stephan Grappelli, Django Reinhardt.

È morto oggi a Roma, all’età di 95 anni. Ci mancherà.

Armando Trovajoli