In A Synthymental Moog

Quello che sembra solo un gioco di parole è invece anche un disco, di prossima uscita, a firma di Riccardo Fassi con il suo Analog Trio, che ho avuto il piacere di ascoltare venerdì sera al 28DiVino Jazz. Riccardo Fassi (piano elettrico e tastiere), Marco Siniscalco (basso elettrico), Davide Pettirossi (batteria) hanno dato vita ad un concerto vibrante, caldo e denso come una cioccolata calda sorseggiata davanti al camino in una sera d’inverno.

Si comincia con Be Groove, un bel funky con un tema gradevolmente incespicante, eseguito in unisono da piano  e basso. Il brano, scritto da Fassi per Billy Cobham, offre subito lo spunto per uno scintillante solo eseguito con il Minimoog RA Moog, sintetizzatore originale del 1970. Tutto il concerto, in realtà, è per Fassi l’occasione di far risuonare molte delle tastiere elettro-meccaniche ed elettroniche che sono state inventate da quaranta anni a questa parte. Vengono riproposte le sonorità del piano Wurlitzer, del Clavinet, nonché del Minimoog, storico sintetizzatore monofonico dal suono grasso e corposo, dotato di un filtro passa basso di grande impatto.

Minimoog

Il brano successivo, Il Principe, sembra una cesura con il mood della serata, essendo una dedica a Totò, con esplicite citazioni della tarantella napoletana a far capolino durante il solo di Fassi. Eppure, a ben guardare, anche la tarantella può trovare una sua ragion d’esistere in un contesto come questo, fatto di suoni allegri ed esuberanti, prorompenti come Sofia Loren in Pane, Amore e… di Dino Risi. E d’altra parte Fassi non è nuovo a dediche cinematografiche, avendo omaggiato anche un regista come Elio Petri includendo, nel disco Serial Killer registrato con la Tankio Band nel 2001, un suo arrangiamento di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, tema composto da Ennio Morricone per l’omonimo film.

La serata prosegue con brani dal titolo evocativo come Random Sequencer (R. Fassi), Lunar Blues (M. Siniscalco) e Slow Cat, nel quale su un filter sweep del Minimoog il basso di Siniscalco ha modo di fraseggiare agevolmente, creando interesse. Del secondo set vogliamo ricordare particolarmente Compassion, ballad in cui il suono di pad la fa da padrone e prevale una certa influenza zawinuliana, ed un finale interamente dedicato a Frank Zappa.

Un trio compatto e agguerrito, fatto di tre ottimi musicisti che non lasciano scampo: una volta che avrete iniziato ad ascoltarli non riuscirete ad allontanarvi se non quando il concerto sarà finito. Da non perdere, se vi capitano a tiro.

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Jazz Talk: Due chiacchiere con Riccardo Fassi

Robert Moog

Wurlitzer

Clavinet

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (E. Petri, 1970)

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Amato Jazz Trio @ RadioTre

Sono a Roma, in via Asiago, di fronte agli studi RAI. Sto aspettando di entrare nella Sala A, dove verrà registrato il concerto dell’Amato Jazz Trio che sarà poi trasmesso martedi 10 dicembre ore 20.30 su Radio Tre. Un peccato che tale concerto venga trasmesso registrato e non in diretta. Ma questo è il mese del Teatro, come spiega il direttore di Radio Tre Marino Sinibaldi, dunque il Jazz deve aspettare. Ma andiamo con ordine.

Mi trovo al bar di fronte alla RAI, dicevo, quando incrocio proprio i tre fratelli Amato insieme a Giuseppe Di Bernardo, autore di un bel documentario sulla storia del trio. Una storia che porta con sé la bellezza primigenia del Jazz, una musica che si radica nella cultura afro-americana e che, forte di questa connotazione meticcia, è destinata a rimanere sempre tale, pur nelle sue mille evoluzioni, pur a migliaia di chilometri dai luoghi nei quali è nata. Una storia, quella del trio Amato, che origina da quello che potrebbe essere considerato il far west italiano, la Sicilia. Un luogo lontano, ai margini estremi della penisola, dove il sole è africano ed il tempo sembra dilatato, rarefatto in un distillato di luci e ombre.

La luce di Elio, Alberto e Sergio Amato si accende nel 1979 quando, dopo aver a lungo suonato musica leggera e musica per banda, i tre hanno i primi approcci con il Jazz. La storia viene raccontata molto bene nel documentario di Giuseppe Di Bernardo, Amato Bros: quando il Jazz nasce in Sicilia, nel quale alle immagini di repertorio si alternano i racconti del padre Santino, trombettista, di amici, di musicisti, del critico Franco Fayenz e di loro stessi. Le immagini rendono molto bene questo trovarsi “ai margini” dell’Italia, del Jazz, forse del mondo. Ma la musica del trio fa da amalgama e rende tutto naturale, anche il fatto che in un paesino come Canicattini Bagni tre giovani musicisti possano appassionarsi al Jazz e diventarne protagonisti. I tre fanno da spalla a Wynton Marsalis, e successivamente vincono il Jazz Contest 88, organizzato a Milano dalla rivista Musica Oggi. È la consacrazione. Da allora iniziano a suonare in giro per l’Italia e ad incidere dischi. A Canicattini Bagni, visto che le loro prove sono seguitissime da amici e conoscenti, decidono di aprirle istituzionalmente fondando l’Otama Jazz Club, dove si esibiscono regolarmente e dove ospitano anche musicisti come Flavio Boltro e Marcello Rosa.

L’ombra arriva nel 2003: Sergio, il batterista, perde la vita in un incidente. È un colpo duro, una ferita che sembra non doversi più rimarginare. Ma ecco che grazie a Loris Amato, il quarto e più piccolo dei fratelli, mago comico e batterista rock, il trio si ricostituisce. Il suono di Loris, di impronta decisamente non jazzistica, finisce per essere un elemento peculiare del sound dei tre, e così Elio ed Alberto trovano la forza di ricominciare.

Durante il concerto, nella Sala A di via Asiago vengono proiettate le immagini del film di Di Bernardo. La musica degli Amato ci avviluppa da subito, dalle prime dirompenti note che Elio tira fuori dal suo pianoforte. Alberto, riverso sul contrabbasso, sembra coltivare con lo strumento un rapporto intimo e viscerale, mentre Loris conferisce una venatura allegra all’ensemble. La proiezione contribuisce, con le sue immagini fortemente evocative, a creare una atmosfera mistica. Difficile fare paragoni, segnare punti di riferimento. Le influenze ci sono, dalla musica pantonale, di dichiarata provenienza Schönberghiana, ad un certo folk-pop che fa largo uso di bordoni sui quali vengono poi costruite improvvisazioni modali. Elio si alterna tra il pianoforte ed il trombone, dando prova di grande empatia con entrambi gli strumenti. Inutile dire che la serata corre via con grande piacere, con Pino Saulo, curatore e presentatore del programma, a chiedere loro ben due bis alla fine del concerto.

Mi ha fatto particolarmente piacere incontrarli di persona e scambiare due parole con loro. Per tutti quelli che fossero curiosi di ascoltare la musica dei fratelli Amato, vi invito a tenere d’occhio la programmazione di Radio Tre di dicembre. Mentre, per vedere il documentario di Giuseppe Di Bernardo, potete andare sul sito del film riportato in basso.

Il concerto andrà in onda martedi 10 dicembre 2013, ore 20.30, su Radio Tre RAI.

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Amato Bros – Quando il Jazz nasce in Sicilia

Discografia

Intervista prima del concerto

Adesso basta

Mo’ avast, adesso basta in pugliese, è il titolo dell’album presentato da Mauro Gargano sabato sera al 28DiVino Jazz, il club più amato d’Italia (Jazzit Award 2012). Che il club sia tanto amato lo si percepisce anche dal fatto che un astro nascente del Jazz come il pugliese Mauro Gargano (contrabbasso), che potremmo dire nostrano ma che, ahinoi, si è formato ed opera musicalmente a Parigi, sceglie proprio il 28DiVino per la sua unica data romana all’interno di una tournée che lo sta portando in giro per l’Italia insieme ad un altro grande jazzista italiano all’estero quale Francesco Bearzatti (sax tenore, clarinetto), con Stephane Mercier (sax alto) e Antoine Banville (batteria). Questa scelta, che rimane comunque un vanto per il 28DiVino Jazz, dimostra però che i circuiti istituzionali continuano ad ignorare le belle novità riproponendo sempre le solite cose. E veniamo alla nostra serata.

La prima cosa che si percepisce, appena la band attacca a suonare, è un grande feeling tra i musicisti, un senso di complicità e reciproca appartenenza che non può che venire da lontano. E infatti, come lo stesso Gargano mi ha detto alla fine del concerto, il gruppo nasce diversi anni fa ed ha avuto modo di suonare molto dal vivo prima di approdare al disco. Un disco senza pianoforte, come senza pianoforte è la formazione di stasera. La mancanza di uno strumento armonico è sempre uno stimolo particolare per musicisti e compositori; in questo caso, la reazione a tale stimolo è spesso giocata sull’interplay tra due strumenti, quando tra i sassofoni, quando tra basso e batteria. Cantabilissimi gli assoli del contrabbassista pugliese, il quale rifugge dagli stilemi tipici della walking line e ci porta su terreni più melodici, a tratti mediterranei, riuscendo ad incantare tutti, incluso Mister Doh, misterioso ospite anglofono che spesso interviene durante le più belle serate del 28DiVino, deliziando i presenti con la sua allegra simpatia. Di Francesco Bearzatti non possiamo che dire meraviglie: grande affabulatore musicale, passa senza soluzione di continuità dallo swing alla melodia, dall’arabo al punk, con uso di sovracuti, fraseggi densi e quant’altro per dare al fruitore un senso di magia circense, del quale si resta intrisi anche mentre si torna a casa. Perfetto contraltare è l’altista Mercier, più cerebrale, più “Jazz”, il quale va ad occupare un ulteriore spazio nel panorama sonoro del gruppo. Non è da meno Banville, che spazza ogni incertezza del time: con lui tutto viene portato via dal ritmo, le note, i rumori delle meccaniche della sua batteria, la polvere sotto le nostre scarpe…

Eclettica, interessante, onirica, vibrante, tanti sono gli aggettivi che potrebbero descrivere la musica di Gargano, e ognuno con la sua ragion d’essere unitamente a quella di tutti gli altri. Una musica che tradisce, fortemente, l’impronta mediterranea e araba, ma anche la melodia ed il senso orchestrale. Il tutto declinato con gusto personale ed una scelta  di brani dalla variegata atmosfera, a partire da When God Put A Smile Upon Your Face tratto dal repertorio dei Coldplay, passando per Turkish Mambo di Lennie Tristano (a dimostrazione che il pianoforte è sempre, in un modo o nell’altro, nella mente del contrabbassista) fino ad Apulia, cantabilissimo brano, chiara dedica alla terra natìa.

Mo’avast, adesso basta, è però in fondo l’unica cosa che proprio non viene da dire alla fine della serata. Una serata piena di pubblico, accorso da tutta Roma e anche da fuori per ascoltare qualcosa di bello, di nuovo, che farà parte dei nostri bei ricordi musicali per lungo, lungo tempo.

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Sito ufficiale Mauro Gargano

Artista: Mauro Gargano

Titolo: Mo’avast band   Anno: 2011

Tracce: When God Put A Smile Upon Your Face/Orange/Respiro del passato/1903/Bass “A” Line/Mars/Turkish Mambo/Rootz/Östersund/Apulia

Etichetta: Note sonanti

Innarella e Ioanna @ 28 DiVino Jazz

Serata molto particolare, venerdì di Ognissanti al 28DiVino Jazz, con l’Hirpus Duo degli irpini Pasquale Innarella (sax alto, sax tenore) e Carmine Ioanna (fisarmonica). Perché particolare?

Intanto il repertorio, che spazia e si ispira a partire dai canti popolari fino alla fusion più moderna. Si parte da Calimerom, a firma di Ioanna, nel quale la fisarmonica sembra acquisire le caratteristiche timbriche e di modulazione del suono tipiche di un sintetizzatore,  e si passa per Flowers For Rocco Scotellaro, tratto dal CD Uomini di Terra di Innarella, durante il quale si ha modo di passeggiare acusticamente attraverso i territori atonali con incursioni nel rock più percussivo, quasi a farci dimenticare che si tratta di un duo acustico; tutto questo salvo repentini rientri in canoni classici (si vedano citazioni in solo di brani come Tenderly di Walter Gross e The Peacocks di Jimmy Rowles). Si attraversano poi atmosfere di smaccata ispirazione contadina (Ra bumbardone di Innarella, ed una elaborazione della tarantella montemaranese), fino ad incursioni nella improvvisazione e nella musica classica (come in Jumpy Jump, di Ioanna, durante il quale il fisarmonicista cita Il volo del calabrone). A tutto questo si aggiungano le personali e interessantissime riletture di brani come Malaika (Fadhili William) e In A Sentimental Mood (Duke Ellington). Non è mancato l’ospite, Alessandro D’Alessandro (accordion), che si è unito a Innarella e Ioanna per un blues finale.

Una serata sorprendente, durante la quale abbiamo avuto la prova che strumenti appartenenti alla tradizione popolare non solo sono attualissimi, ma hanno ancora molto da dire in termini di innovazione e ricerca musicale, e possono ben competere con ensemble più marcatamente elettrici in nulla difettando quanto a capacità di coinvolgere l’ascoltatore e senza niente da invidiare ad un gruppo fusion. Il tutto filtrato attraverso il gusto di due esecutori colti e popolari al tempo stesso, che sanno bene come utilizzare il materiale sonoro che scorre nelle loro vene.

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Intervista a Pasquale Innarella dopo il concerto