Sono a Roma, in via Asiago, di fronte agli studi RAI. Sto aspettando di entrare nella Sala A, dove verrà registrato il concerto dell’Amato Jazz Trio che sarà poi trasmesso martedi 10 dicembre ore 20.30 su Radio Tre. Un peccato che tale concerto venga trasmesso registrato e non in diretta. Ma questo è il mese del Teatro, come spiega il direttore di Radio Tre Marino Sinibaldi, dunque il Jazz deve aspettare. Ma andiamo con ordine.
Mi trovo al bar di fronte alla RAI, dicevo, quando incrocio proprio i tre fratelli Amato insieme a Giuseppe Di Bernardo, autore di un bel documentario sulla storia del trio. Una storia che porta con sé la bellezza primigenia del Jazz, una musica che si radica nella cultura afro-americana e che, forte di questa connotazione meticcia, è destinata a rimanere sempre tale, pur nelle sue mille evoluzioni, pur a migliaia di chilometri dai luoghi nei quali è nata. Una storia, quella del trio Amato, che origina da quello che potrebbe essere considerato il far west italiano, la Sicilia. Un luogo lontano, ai margini estremi della penisola, dove il sole è africano ed il tempo sembra dilatato, rarefatto in un distillato di luci e ombre.
La luce di Elio, Alberto e Sergio Amato si accende nel 1979 quando, dopo aver a lungo suonato musica leggera e musica per banda, i tre hanno i primi approcci con il Jazz. La storia viene raccontata molto bene nel documentario di Giuseppe Di Bernardo, Amato Bros: quando il Jazz nasce in Sicilia, nel quale alle immagini di repertorio si alternano i racconti del padre Santino, trombettista, di amici, di musicisti, del critico Franco Fayenz e di loro stessi. Le immagini rendono molto bene questo trovarsi “ai margini” dell’Italia, del Jazz, forse del mondo. Ma la musica del trio fa da amalgama e rende tutto naturale, anche il fatto che in un paesino come Canicattini Bagni tre giovani musicisti possano appassionarsi al Jazz e diventarne protagonisti. I tre fanno da spalla a Wynton Marsalis, e successivamente vincono il Jazz Contest 88, organizzato a Milano dalla rivista Musica Oggi. È la consacrazione. Da allora iniziano a suonare in giro per l’Italia e ad incidere dischi. A Canicattini Bagni, visto che le loro prove sono seguitissime da amici e conoscenti, decidono di aprirle istituzionalmente fondando l’Otama Jazz Club, dove si esibiscono regolarmente e dove ospitano anche musicisti come Flavio Boltro e Marcello Rosa.
L’ombra arriva nel 2003: Sergio, il batterista, perde la vita in un incidente. È un colpo duro, una ferita che sembra non doversi più rimarginare. Ma ecco che grazie a Loris Amato, il quarto e più piccolo dei fratelli, mago comico e batterista rock, il trio si ricostituisce. Il suono di Loris, di impronta decisamente non jazzistica, finisce per essere un elemento peculiare del sound dei tre, e così Elio ed Alberto trovano la forza di ricominciare.
Durante il concerto, nella Sala A di via Asiago vengono proiettate le immagini del film di Di Bernardo. La musica degli Amato ci avviluppa da subito, dalle prime dirompenti note che Elio tira fuori dal suo pianoforte. Alberto, riverso sul contrabbasso, sembra coltivare con lo strumento un rapporto intimo e viscerale, mentre Loris conferisce una venatura allegra all’ensemble. La proiezione contribuisce, con le sue immagini fortemente evocative, a creare una atmosfera mistica. Difficile fare paragoni, segnare punti di riferimento. Le influenze ci sono, dalla musica pantonale, di dichiarata provenienza Schönberghiana, ad un certo folk-pop che fa largo uso di bordoni sui quali vengono poi costruite improvvisazioni modali. Elio si alterna tra il pianoforte ed il trombone, dando prova di grande empatia con entrambi gli strumenti. Inutile dire che la serata corre via con grande piacere, con Pino Saulo, curatore e presentatore del programma, a chiedere loro ben due bis alla fine del concerto.
Mi ha fatto particolarmente piacere incontrarli di persona e scambiare due parole con loro. Per tutti quelli che fossero curiosi di ascoltare la musica dei fratelli Amato, vi invito a tenere d’occhio la programmazione di Radio Tre di dicembre. Mentre, per vedere il documentario di Giuseppe Di Bernardo, potete andare sul sito del film riportato in basso.
Il concerto andrà in onda martedi 10 dicembre 2013, ore 20.30, su Radio Tre RAI.
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Ricevo il seguente commento e volentieri lo pubblico:
La tecnica di approccio è, come sempre, inappuntabile, lasciando stare per adesso le mie fisime operazionali. Voglio invece dire qualcosa sulla Sicilia, la terra dove è nata questa formazione musicale e che tu dici terra lontana, il far west d’Italia, ai margini… La Sicilia? Ai margini di che? Del mondo magari, della cultura, della civiltà? Lasciando per ora da parte le mafie, che sono come la rogna, i pidocchi, i vermi, che possono affliggere anche le persone più oneste e nobili, la Sicilia, insieme a tutta quella terra onde la divide lo stretto – e che ebbe nome Magna-Grecia, vale a dire la Grecia grande, rispetto a quella originaria, che così figurava come la Grecia piccola – non solo f, ma è ora e sempre terra di nascite, come dimostra appunto la nascita di codesta formazione jazzistica. Tutta quella terra lì è LA MADRE-TERRA di tutte le terre del mondo, perché vi nacque LA CULTURA-MADRE del mondo, cioè quella che s’usa denominare “cultura occidentale” e che ha dato vita non solo alla civiltà europea, ma anche a quella americana e a quella australiana, per non parlare di altre zone sparse a pelle di leopardo in Africa e altrove per il pianeta.
Ma io uso dire che in quella prodigiosa zona mediterranea fu scolpita L’ANIMA DEL MONDO, vale a dire ciò che è divenuto o dovrebbe o vorrebbe essere ogni individuo in quanto facente parte della razza umana. E come il Mosè michelangiolesco è scolpito nel marmo, quest’anima fu scolpita nella materia linguistica, la quale fu dapprima la lingua greca, poi la latina e poi ancora la lingua italiana da quando quella cultura così prodigiosamente creativa si rampicò per lo stivale, passando e sostando prima a Napoli, poi in Toscana e poi su su fino a tutto lo slargo della pianura padana, che va da est ad ovest, e che in tal modo, olim Gallia cisalpina nomata, giunse a dismettere finalmente i suoi abiti barbarici.
Ma bisogna avere a mente che quella terra lì mediterranea, non solo fu, ma è ancora e forse sarà sempre la terra delle nascite. Soprattutto la Sicilia. Ogni volta che un siciliano si cimenta in un’impresa creativa, ne viene sempre uno sbocco vivo e prepotente nel nuovo, a petto al quale il trascorso impallidisce e si accantona, come, in base a ciò che scrivi, sembra sia accaduto con i tuoi jazzisti.
Questo bisogna dirlo sempre, gridarlo a gran voce, specie in faccia a quelli che non cessano dal disprezzare il sud e l’Italia di cui è parte, mentre poi tutti vengono qui da noi, o nei paesi di cultura occidentale, perché questa cultura ha generato una civiltà la quale, nonostante i moltissimi suoi difetti, talvolta anche gravi, consente una vita degna di ciò che s’usa chiamare umanità. E ci vengono fuggendo da terre nelle quali, vuoi per motivi religiosi, vuoi per cultura e civiltà, si è oppressi, carcerati, schiavizzati, uccisi, affamati, vilipesi, impediti fin nell’esercizio dei diritti primi e naturali.
Domenico Alvino