Un termine abusato, energia, che però rende molto bene l’impatto di questo trio rispondente al nome MC3 e composto dal leader Marco Colonna (sax tenore, clarinetto basso), Fabio Sartori (Hammond), Stefano Cupellini (batteria).
Un approccio pan-modale basato sul groove, come ci ha detto ieri lo stesso Marco Colonna alla fine di una serata speciale: la registrazione dal vivo del primo disco prodotto dalla nascente 28 Records, etichetta del 28DiVino Jazz, club che da qualche anno si è imposto sulla scena romana come uno dei più attenti ai progetti originali, selezionati in base alla sensibilità del direttore artistico Marc Reynaud senza discriminazioni di sotto-genere.
I brani, tutti originali salvo A Call For All Demons (Sun Ra) e Come Sunday (Duke Ellington), si snodano a volte intorno ad una cellula ritmica, spesso impostata dall’Hammond del bravo Sartori a partire da un ostinato di basso suonato sul manuale inferiore, eventualmente contrappuntato da accordi e cluster, con l’innesto di interventi percussivi ad opera del bravo Stefano Cupellini; come nel citato brano di Sun Ra, dove Colonna ha modo di sovrapporre un tema suadente, suonato con il clarone. Altre volte è il clarone a prendere l’iniziativa, come ne La piccola venere, dedicato alle donne soldato e frutto della esperienza africana del musicista, nel quale il tema, basato su riff, viene poi doppiato, nel secondo “A”, dai bassi dell’Hammond.
Ad una esposizione dei temi prevalentemente tonale e con una struttura più o meno definita fa da contraltare un impianto solistico basato su quello che definirei “free sostenibile”, ovvero una esplorazione dell’ignoto che ci permette di avventurarci al buio pur avendo in tasca la nostra torcia a pile, che ci dà la sicurezza e la tranquillità per goderci beatamente il brivido dell’inesplorato. Un approccio senz’altro interessante, che coniuga sperimentazione ed esigenze performative, in un riuscito mix che incolla l’ascoltatore alla sedia e che non manca di soddisfare anche i palati più difficili o gli avventori più scettici.
Bello e pieno il suono di Marco Colonna, che riesce ad essere sempre qui ed ora, quando leggero “in punta di ballad“, quando virtuoso (con utilizzo di slap, sovracuti e respirazione circolare), quando bop e quando blues (si veda Blues For Fil, dedicato al sassofonista Filippo Bucci).
Il concerto è finito, il disco è stato registrato e da subito iniziamo il conto alla rovescia fino alla sua uscita, che avverrà presumibilmente dopo l’estate.
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Si consideri il brano che segue:
«Ad una esposizione dei temi prevalentemente tonale e con una struttura più o meno definita fa da contraltare un impianto solistico basato su quello che definirei “free sostenibile”, ovvero una esplorazione dell’ignoto che ci permette di avventurarci al buio pur avendo in tasca la nostra torcia a pile, che ci dà la sicurezza e la tranquillità per goderci beatamente il brivido dell’inesplorato».
Benché siano impiegati termini troppo astretti alla tecnica gezzistica, non è difficile comprendere che, dal principio sino a “free sostenibile”, è specificato un tecnema (It) di oppositio tra due modalità musicali: da un lato, una expositio tonale pressappoco strutturata, e, dall’altro, un impianto solistico basato su un “free sostenibile”, qualunque cosa s’intenda con ciò. Da “ovvero” in poi è specificata invece l’operazione di poesia (Op) che se ne genera necessariamente, essendo l’oppositio sempre la scoperta di qualcosa d’altro, che non è presente nei termini che si oppongono, ciascuno dei quali non ha nulla dell’altro, e perciò si negano a vicenda, ed è questa la ragione per la quale ciò che si scopre è sconosciuto per l’innanzi, e dunque la scoperta non può essere che dell’ignoto. Ecco perché ciò che ne consegue, l’operazione della poesia cioè, deve di necessità essere
“una esplorazione dell’ignoto che ci permette di avventurarci al buio pur avendo in tasca la nostra torcia a pile, che ci dà la sicurezza e la tranquillità per goderci beatamente il brivido dell’inesplorato.”
Una Op stupenda, che i blablaisti della critica musicale o d’arte in genere, che van nel mondo sculettando il loro orgoglio di non sapere che sia l’arte, la poesia, o non individuano o capita loro solamente di rado di uccellare nelle loro analisi cerebrose.
Questo s’intende sottolineare qui, che certe notazioni, come questa del critico di jazz@roma, – il cui valore mi pare che sussista a prescindere da tiritere scarrafoniche – son tali da spezzare d’un tratto la mistica persuasione della indefinibilità della poesia, o di avviare una forte riflessione che conduca ad una sua definizione inoppugnabile, certo con gran guadagno della poesia e dell’arte, nonché della critica e della scienza che pure se ne occupano da millenni.Complimenti.
Domenico Alvino
Caro Domenico, Grazie per la tua osservazione, il tuo pensiero! Complimenti a te! Marc