Curve [edited version]

Le voci erano esplose nella notte. All’uscita del bar, tra i lampioni alogeni, l’aria sembrava più pesante ora, densa com’era di suoni ed urla. Un autovettore che passava al livello stradale dovette clacsonare a lungo perché lo sciame di giovanotti cresciutelli si convincesse a farsi da parte.
“Ma guarda questi!” esclamò Eurizo, “neanche la strada fosse loro! Ci sono tanti livelli su cui viaggiare, lasciateci almeno il livello del suolo, a noi pedoni!”
Ecco, aveva appena detto una delle cose che dicono i vecchi. E nel frattempo, correndo, si dirigeva al suo veicolo.
“Ragazzi, stasera vinco!” disse ansimante. Nessuno di voi riuscirà a tenermi dietro, ve lo assicuro!”
“Non vorrai rifarlo?” fece Pascalia.
“Sì, invece! Non è stato eccitante l’altra notte?”
“Andiamo, non perdiamo tempo!” si udì dal gruppo.
Come ogni notte, la domanda era sempre la stessa: cosa fare per annientare la noia? Come liberarsi da se stessi? La risposta era sempre nel branco, nella convinzione che una identità di gruppo fosse migliore della propria. Rappresentazioni sociali. Sì, ricordò Pascalia, era così che in sociologia venivano chiamate quelle convenzioni che permettono all’individuo di non sentirsi escluso dal branco, di essere parte del mondo e di non sentirsi solo. Ma tra quegli schiamazzi e quelle grida forzatamente adolescenziali, Pascalia non poteva fare a meno di provare una gran pena. Quali convenzioni? Quella di lanciarsi a velocità folle sulla SEMER per vedere chi arriva prima sulla Terra, rischiando una collisione con altri veicoli spaziali e magari uccidendo ignari viaggiatori notturni?
Perché aveva sposato Eurizo? Erano mesi che se lo chiedeva. E intanto lo osservava e vedeva un trentenne mai cresciuto. Lo osservava mentre modificava il computer di bordo per ingannare le boe della strada elettronica. Finché lo sportello ermetico si richiuse sui suoi pensieri.

Era cominciata. Tutti i veicoli avevano iniziato a muoversi ed Eurizo guidava con piglio da pilota, quasi stesse compiendo un’impresa importante, di quelle per cui andare fieri. Le navette filarono lisce nello spazio fino all’imbocco della SEMER, dove il sistema di controllo assegnò loro il codice di identificazione per la guida automatica. Pascalia non ebbe il tempo di pensare altro. Ora si stavano lanciando verso il Pianeta, ma la sensazione era vaga, essendo le forze gravitazionali ancora blande. Il distacco tra i vari veicoli era minimo, nessuno che riuscisse ancora a raggiungere la massima velocità consentita dalla SEMER, dal momento che vi erano parecchie altre navi in transito verso la Terra. Pascalia si sentiva confortata. “Magari questo li farà desistere!” pensò. Ma suo marito stava già deviando il proprio mezzo verso la corsia del senso opposto, dove in breve raggiunse una velocità alquanto elevata, tale da lasciare tutti gli altri molto indietro.
“Come hai potuto? Non c’è un blocco elettronico per questo?”
“Non se hai due codici di identificazione!” rispose Eurizo trionfante.
“Cosa?”

“Ho raddoppiato il buffer per l’ID-CODE. Ho mantenuto in memoria anche il codice dell’andata, così per il SEMER noi siamo un veicolo che va alla Terra più un altro che va alla Luna. Geniale, no?”
Una nave proveniente dal verso opposto si parò loro dinanzi. Eurizo diede un colpo al timone e in breve ebbero a sfiorarla passandole sopra di qualche metro.

“Insomma! Vuoi ucciderci?” urlò Pascalia.
“Stai tranquilla! Guarda piuttosto se vedi ancora gli altri! Puntini! Sono diventati dei puntini sulla Luna!”
“E come fai a dirigere in barba al sistema di sicurezza?” disse lei con un fremito.
“Comandi manuali! Mi è bastato escludere i servocomandi e manovrare i flap direttamente.”
La corsa procedeva, per fortuna erano pochissimi i veicoli che transitavano dalla Terra alla Luna.

Il silenzio fu rotto da un sibilo. Era ora di iniziare il lavoro, la sveglia stava fischiando mentre Eurizo ancora cercava di tastare la realtà intorno a lui. Pascalia era uscita, da almeno un’ora, pensò, e doveva essere già alla sua consolle di sorvegliante delle scorte di energia planetaria. Lui si compiacque di lavorare comodamente da casa, invece, in pigiama, mentre sorseggiava il caffè appena scaldato dal computer domestico. Quando accese il suo terminale si ricordò che aveva molto lavoro arretrato. Accese la radio e la mandò a tutto volume, cercando di non pensare a quello che pure stava facendo. Cominciò a smistare la posta elettronica verso i vari uffici del Ministero, senza curarsi troppo di controllare che l’ufficio in indirizzo fosse quello giusto. D’altra parte era lunedì, e non era il caso affaticarsi troppo.
“Powerkraft!” esclamò reagendo ad un segnale lampeggiante appena apparso sullo schermo. “Vecchio Powerkraft! Come stai?”
Aveva portato il microfono vicino alle sue labbra mentre a tentoni, con l’altra mano, cercava il pacchetto delle sigarette. “Saranno almeno due mesi che te ne stai chiuso in quella catapecchia… di’, è ancora in piedi?”
Eurizo era in preda all’euforia. Stava parlando con Powerkraft, lo scienziato.
“Sai che non sto mai in ritiro se non per un valido motivo” fece l’altro compiaciuto.
“Già. L’ultima volta a momenti non mi sfracello su un satellite meteorologico per seguire le tue elucubrazioni sulla SEMER! Devo anche dire che è stata la cosa più esaltante che abbia mai fatto…”
“Quello è niente. Ho tanto di quel cibo da sfamarti per sempre, Eurizo…”
Essi erano là, a migliaia di chilometri l’uno dall’altro, eppure insieme, ancora una volta, a condividere quella passione per il nuovo e l’estremo, a ricercare chissà dove ciò che non avevano mai avuto la forza di trovare in sé.
“Dove?” fu la domanda carica di attesa di Eurizo.

I due uomini si incontrarono prima che la città si richiudesse dietro le finestre. C’era molto da fare prima dell’eclissi. Camminavano affiancati, respirando quell’aria che solo i depuratori di una grande metropoli sanno creare. Ogni passo, ogni luce dietro ai vetri dei palazzi, sembravano niente a paragone dell’impresa. A ben guardare tutta la vita sembrava niente.
Finalmente giunsero là. Il sorvegliante se ne stava seduto nel suo ufficio a vetri che affacciava sul parcheggio, inondato dal fragore della partita trasmessa dalla TV tridimensionale. Powerkraft ed Eurizo saltarono a bordo di un veicolo ormeggiato vicino all’uscita. Accesero i motori, e poi attesero il warm-up. Era necessario disporre di tutta la potenza per sfruttare al meglio l’effetto fionda. Eurizo guardava l’amico mentre avvertiva la spinta che li portava in alto fino all’ultimo livello, quello per il decollo spaziale. Qualche secondo e la spinta divenne orizzontale. Non fosse per i gravitoni, pensò, fluttueremmo in questa cabina come foglie nel vento autunnale. Ma anche stavolta non c’era tempo per pensare. Powerkraft aveva impostato la traiettoria, mentre la Luna si stava disponendo tra la Terra e il Sole. L’eclissi era vicina.

Un interruttore scattò, e la voce nel computer iniziò il conto alla rovescia. Stavano per attraversare lo spazio-tempo. Stavano per varcare universi nuovi e sconosciuti, presto tunnel spaziali inimmaginati li avrebbero condotti chissà dove e chissà quando. Non erano certi di fare ritorno. Ma a Powerkraft non importava.

Tutto era scomparso. Tutto ciò che aveva avuto un senso non lo aveva più. Ora vedevano solo buio e luce insieme, senza distinguerli. Erano immobili, o almeno parve loro di esserlo. Ma Powerkraft sapeva che non era così. Sapeva che sulla Terra i millenni stavano correndo, rapidi come gli atleti della lotteria del lunedì sera. Ma non disse nulla al suo compagno, mentre ondate abbaglianti travolgevano i loro occhi atterriti ed il buio sembrava ingoiarli lentamente. Tutta la vita avevano cercato una risposta ed ora, finalmente, stavano per averla. Ma a quale domanda?
“A quale domanda?” chiese Eurizo soffocando un attacco di panico “Cosa siamo venuti a fare qui?”
Powerkraft lo guardò con aria grave.
“Ti ho portato oltre i confini del conosciuto. Qui nulla ha più una relazione con il nostro mondo. Neanche l’espressione nostro mondo ha più significato, qui. Quel mondo non esiste, anzi, non è mai esistito. Certo, alcuni hanno ipotizzato l’esistenza di curve di tipo tempo chiuse. Secondo queste teorie, noi potremmo viaggiare sempre in avanti attraversando vari universi fino a tornare nel nostro. Ma ti rendi conto che questo sarebbe un bel paradosso.”
“Perché?”
“A cosa servirebbe viaggiare tanto per cercare delle risposte se poi, alla fine del viaggio, trovassimo solo la domanda?”

Trovare solo la domanda… Eurizo ebbe un sussulto. Ora tutto era chiaro, certo! Powerkraft, con tutta la sua scienza, non aveva capito, ma lui sì! Le curve di tipo tempo chiuse esistono! Il paradosso si avrebbe se non fosse così! Oh, se Pascalia fosse stata lì! Le avrebbe voluto dire, raccontare… Ma il viaggio aveva appena avuto inizio. Ad un tempo e ad un luogo, l’avrebbe riabbracciata. Trovando la domanda per ogni risposta.

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