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Patrizia Scascitelli Italian Quartet

Ho avuto modo di vedere il quartetto di Patrizia Scascitelli, una delle prime (se non la prima) pianiste jazz italiane, che vive a New York dal 1981 ma che periodicamente viene a suonare in Italia. E per l’ennesimo anno ha fatto tappa al 28DiVino Jazz, dove si è presentata con i fidi Andrea Pace (sax tenore e soprano), Piero Simoncini (contrabbasso) e Carlo Battisti (batteria).

Un repertorio di brani originali, da lei scritti ed arrangiati, mescolati con brani di Horace Silver, scomparso lo scorso anno. La scrittura di Patrizia è fresca, come un soffio di brezza, si ascolti First Day Of Spring, con il quale si apre il concerto al 28DiVino, una minisuite che ad una prima parte a tempo moderato, con Battisti a scandire i quarti con i mallets, segue una seconda parte giocata in up-tempo, nella quale Simoncini e Pace hanno modo di scaldare i muscoli ed entrare pienamente in partita. Si ascolti anche Hudson Valley, un tema classico, cantabilissimo, che dà l’avvio al secondo set.

Non mancano il funky (Pink Flamingos, dedicato alla bassista Antonella Mazza) ed un tema claustrofobico come Madness, scritto di getto dopo l’attentato terroristico di Parigi.

I brani scelti per omaggiare Horace Silver sono Senor Blues, Adjustment, Pretty Eyes, Cape Verdean Blues e Peace, struggente ballad che non manca di toccare le corde più malinconiche del nostro inconscio.

Una serata classica, bella, godibile nelle armonizzazioni di Patrizia ed elettrizzante negli avviluppanti assoli di Andrea Pace, ottimamente supportati da una ritmica rodata come quella di Battisti e Simoncini.

Serata terminata con la piacevole intervista concessa da Patrizia alla nostra web radio.

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Mingo’s Mood

Quattro musicisti con gli occhiali. È la prima cosa che noto, a colpo d’occhio, sul palco del 28DiVino. Il più giovane di loro ha poco meno di cinquant’anni, il più grande è una colonna della musica italiana. Esperienza, dunque, rilassatezza. Quella rilassatezza che è propria di chi ha alle spalle una lunga e bella carriera. E che consente alla musica di sgorgare liquida, senza sofisticazioni o inganni.

C’è Nicola Mingo stasera, accompagnato con grande classe da Antonello Vannucchi (piano), Andrea Avena (contrabbasso), Carlo Battisti (batteria). Mingo propone un repertorio fortemente ispirato all’Hardbop, con particolare riferimento alla figura di Clifford Brown. E sono proprio di Clifford Brown molti dei brani eseguiti, da Joy Spring a Daahoud a Sandu.  Altri brani sono scritti invece da Mingo ma sempre profondamente influenzati dal grande trombettista americano, a partire dalla complessità dei temi e delle armonie, fino alla scelta di tempi pari e veloci. Molti di questi brani originali sono contenuti nel CD We Remember Clifford, uscito per Emarcy nel 2011, altri sono ancora inediti.

Il concerto di apre con Joy Spring, nel quale all’esposizione del tema segue il solo di chitarra senza soluzione di continuità. La batteria di Carlo Battisti fluttua libera, inchiodata solo dalla lucida pulsazione di Andrea Avena, il quale sembra sapere esattamente dove cadrà il prossimo beat, mostrando un playing così rilassato da rasentare la perfezione. Mingo si arrampica su arpeggi diminuiti e scale alterate, preferendo a volte l’uso polifonico dello strumento.

Antonello Vannucchi, pianista dell’orchestra RAI per trent’anni, mostra tutta la sua sensibilità già dall’attacco: aspetta perfino che scemi l’applauso a Mingo, prima di iniziare il suo assolo. Dimezza poi il tempo, usando arpeggi ascendenti sull’accordo minore e discendendo sulla scala diminuita. L’effetto è molto cool, ed introduce con efficacia l’assolo di Andrea Avena, che intavola con il suo contrabbasso un dialogo tematico, dal quale traspare una sola ed urgente voglia: raccontare la musica, porgerla ai fruitori senza mediazioni e senza sovrastrutture.

La serata fila via libera e coinvolgente. One For My Mother è una ballad dalla forte cantabilità e, in effetti, Mingo canta  anticipando con la voce le note della propria chitarra. We Remember Clifford, il brano che dà il titolo all’album omonimo, è invece un tempo up con una struttura rhythm changes di 32 misure. In Brown’s Blues, ad una introduzione di piano in trio segue l’esposizione tematica di Mingo con una parte A eseguita in due dal contrabbasso, che prosegue poi in quattro sulla parte B. Arrangiamenti essenziali, diretti, ma sempre molto efficaci.

Due set, quattro musicisti con gli occhiali, ed una domanda: ma portare gli occhiali, o avere più di cinquant’anni, aiuta a suonare bene il Jazz?

Nicola Mingo 4et
Nicola Mingo 4et

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