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Adesso basta

Mo’ avast, adesso basta in pugliese, è il titolo dell’album presentato da Mauro Gargano sabato sera al 28DiVino Jazz, il club più amato d’Italia (Jazzit Award 2012). Che il club sia tanto amato lo si percepisce anche dal fatto che un astro nascente del Jazz come il pugliese Mauro Gargano (contrabbasso), che potremmo dire nostrano ma che, ahinoi, si è formato ed opera musicalmente a Parigi, sceglie proprio il 28DiVino per la sua unica data romana all’interno di una tournée che lo sta portando in giro per l’Italia insieme ad un altro grande jazzista italiano all’estero quale Francesco Bearzatti (sax tenore, clarinetto), con Stephane Mercier (sax alto) e Antoine Banville (batteria). Questa scelta, che rimane comunque un vanto per il 28DiVino Jazz, dimostra però che i circuiti istituzionali continuano ad ignorare le belle novità riproponendo sempre le solite cose. E veniamo alla nostra serata.

La prima cosa che si percepisce, appena la band attacca a suonare, è un grande feeling tra i musicisti, un senso di complicità e reciproca appartenenza che non può che venire da lontano. E infatti, come lo stesso Gargano mi ha detto alla fine del concerto, il gruppo nasce diversi anni fa ed ha avuto modo di suonare molto dal vivo prima di approdare al disco. Un disco senza pianoforte, come senza pianoforte è la formazione di stasera. La mancanza di uno strumento armonico è sempre uno stimolo particolare per musicisti e compositori; in questo caso, la reazione a tale stimolo è spesso giocata sull’interplay tra due strumenti, quando tra i sassofoni, quando tra basso e batteria. Cantabilissimi gli assoli del contrabbassista pugliese, il quale rifugge dagli stilemi tipici della walking line e ci porta su terreni più melodici, a tratti mediterranei, riuscendo ad incantare tutti, incluso Mister Doh, misterioso ospite anglofono che spesso interviene durante le più belle serate del 28DiVino, deliziando i presenti con la sua allegra simpatia. Di Francesco Bearzatti non possiamo che dire meraviglie: grande affabulatore musicale, passa senza soluzione di continuità dallo swing alla melodia, dall’arabo al punk, con uso di sovracuti, fraseggi densi e quant’altro per dare al fruitore un senso di magia circense, del quale si resta intrisi anche mentre si torna a casa. Perfetto contraltare è l’altista Mercier, più cerebrale, più “Jazz”, il quale va ad occupare un ulteriore spazio nel panorama sonoro del gruppo. Non è da meno Banville, che spazza ogni incertezza del time: con lui tutto viene portato via dal ritmo, le note, i rumori delle meccaniche della sua batteria, la polvere sotto le nostre scarpe…

Eclettica, interessante, onirica, vibrante, tanti sono gli aggettivi che potrebbero descrivere la musica di Gargano, e ognuno con la sua ragion d’essere unitamente a quella di tutti gli altri. Una musica che tradisce, fortemente, l’impronta mediterranea e araba, ma anche la melodia ed il senso orchestrale. Il tutto declinato con gusto personale ed una scelta  di brani dalla variegata atmosfera, a partire da When God Put A Smile Upon Your Face tratto dal repertorio dei Coldplay, passando per Turkish Mambo di Lennie Tristano (a dimostrazione che il pianoforte è sempre, in un modo o nell’altro, nella mente del contrabbassista) fino ad Apulia, cantabilissimo brano, chiara dedica alla terra natìa.

Mo’avast, adesso basta, è però in fondo l’unica cosa che proprio non viene da dire alla fine della serata. Una serata piena di pubblico, accorso da tutta Roma e anche da fuori per ascoltare qualcosa di bello, di nuovo, che farà parte dei nostri bei ricordi musicali per lungo, lungo tempo.

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Sito ufficiale Mauro Gargano

Artista: Mauro Gargano

Titolo: Mo’avast band   Anno: 2011

Tracce: When God Put A Smile Upon Your Face/Orange/Respiro del passato/1903/Bass “A” Line/Mars/Turkish Mambo/Rootz/Östersund/Apulia

Etichetta: Note sonanti

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Jazzapoppin

Prendo tempo, dentro di me, appena riconosco le note di There Must Be An Angel, il famoso successo pop degli anni Ottanta. Siamo al 28DiVino, e mi trovo di fronte ad un quartetto capitanato da due musicisti di prim’ordine, Mario Corvini (trombone) e Stefano Micarelli (chitarra). Per natura sono sempre sospettoso quando ascolto brani pop arrangiati ed eseguiti in forma jazz, ma stavolta non resisto a lungo: dopo una esposizione del tema lirica e suadente il brano degli Eurythmics prende il volo con un fresco solo di Micarelli, che volteggia libero sopra il solido supporto di Mauro Nota (contrabbasso) e Fabio Sasso (batteria); poi il solo di Corvini, e tutte le mie riserve si sciolgono: il progetto Brit In Jazz mi sta “prendendo”.

I brani che si susseguono poi, tutti parte di un disco in uscita che sarà presentato ufficialmente alla Casa del Jazz il 13 maggio prossimo, sono una carrellata di successi in un arco temporale che va dagli anni Sessanta ad oggi. E se alle mie orecchie sfugge che il brano successivo è Speed Of Sound dei Coldplay, è solo perché la mia età mi lega di più a brani del millennio scorso. In questo pezzo la chitarra di Micarelli ha modo di spaziare oltre i confini della tonalità, creando terreno fertile per un suggestivo assolo di contrabbasso giocato su frasi ripetutamente trasposte.

Si punta sulla contaminazione, sulla sorpresa, sul gusto. E si ha modo di scoprire la forza dell’arrangiamento, che può cambiare radicalmente la veste di un brano. Come in Save A Prayer, portato al successo dai Duran Duran nel 1982, che una introduzione di chitarra riverberata rende irriconoscibile sulle prime, ma che di nuovo un suadente tema esposto dal trombone rende invece poi palese e, di fatto, nuovo, come se fosse appena stato scritto. Anche l’uso dei mallet da parte del batterista contribuisce a dare al brano un tono orchestrale, da musica sinfonica, mentre Micarelli si inerpica su ostinati ritmici cangianti, prima modellandosi su di essi e poi allontandosene, fino al tema finale, sostenuto ancora dalla chitarra, e fino alla magistrale chiusura di Corvini che con una nota tenuta inchioda tutta la platea fino all’ultimo alito di musica del pezzo.

Anche Money For Nothing (Dire Straits, 1985) sarebbe irriconoscibile se non fosse stato già annunciato, per via di una introduzione di solo trombone eseguita con il plunger da Corvini, ad evocare fraseggi tipici delle big band vecchio stile, anche e soprattutto con utilizzo di growl ed altri effetti marcatamente jungle, il tutto riproposto in modo da dare l’impressione di un campionatore, con tutti questi suoni memorizzati, del quale vengano premuti tasti sapientemente a caso.

Altri brani scorrono fluidi e rinnovati sulle nostre orecchie: Can’t Buy Me Love (Beatles, 1964), Synchronicity II (Police, 1983), Shine On You Crazy Diamond (Pink Floyd, 1975), Vertigo (U2, 2004). Impressionante il suono di Mario Corvini che, nei momenti più intensi, riesce a creare l’effetto di una intera sezione di ottoni, come nella versione funk di Shine On You Crazy Diamond o in Come Together (Beatles, 1969), eseguita come bis.

In sintesi, direi che sono due i protagonisti di questa serata: l’arrangiamento, che se eseguito da mani sapienti può fare per un brano una grande differenza, e la bravura di questi musicisti, che hanno dimostrato classe, sensibilità e grandi doti di interpreti.

Brit In Jazz 4et

Link correlati:

Percussion mallets (in inglese)

Plunger (in inglese)

Campionatore