Una piccola folla che preme alla porta del 28DiVino Jazz, qualcuno che urla:”Traditori!”, mentre Ettore Fioravanti si fa largo tra gli astanti. Da poco è uscito il suo nuovo cd Traditori (Alfa Music), e molti ancora faticano a perdonare. Questo suo tradire il Jazz non è stato preso bene dai fan e dagli appassionati, e molti sono qui per dirglielo in faccia.
Si comincia. Sul palco, oltre al leader, ci sono Marcello Allulli (sax tenore), Francesco Poeti (chitarra), Francesco Ponticelli (contrabbasso). Ma il primo brano è uno standard, My Shining Hour (Harold Arlen), e già i volti si distendono. Fioravanti sa il fatto suo e prosegue dritto con Polka Loca, a sua firma, dove ad un andamento ritmico di smaccata estrazione popolare contrappone dei momenti di pura improvvisazione. Il binomio è dirompente, geniale, e subito mette d’accordo tutti: altro che traditore, Fioravanti è un alfiere della tradizione perché, come ha modo di spiegare lui stesso, la tradizione ha bisogno di continui tradimenti per essere portata avanti.
E si prosegue, dialogando con tradizione e contemporaneità, tra cultura pop e cultura alta. In perfetto spirito jazzistico, rivive e risplende di nuova luce un classico come Walk On The Wild Side di Lou Reed. Si eseguono brani di Monk (Brilliant Corners) e ballad intimiste (come la sognante Tre, jazz waltz a firma di Ponticelli), ci si spinge fin nei territori dei tempi dispari (Boris, di Fioravanti) o del progressive (Camelot, sempre di Fioravanti).
È tradimento, questo? Per qualcuno forse sì, per qualcuno sicuramente no. Resta il fatto che il Jazz è nato come musica di contaminazione, tanto che già nella sua definizione principe viene etichettato come musica afro-americana. E dunque viva la tradizione, viva il tradimento, viva i Traditori e viva Ettore Fioravanti!