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Il poeta del silenzio: Falzone omaggia Rava

Il 20 agosto del 2019, mentre Enrico Rava spegneva ottanta candeline, Giovanni Falzone lo omaggiava dedicandogli una ballad struggente. Il poeta del silenzio è un brano che, mentre riecheggia lo spirito della migliore tradizione del jazz di Miles Davis e Chet Baker, nel contempo prende forma e sostanza in quell’allure tipica delle sonorità falzoniane, che esprimono una contemporaneità senza tempo.

Abbiamo chiesto a Giovanni Falzone di raccontarci il “suo” Enrico Rava, ed ecco cosa ci ha detto:

“Tra noi c’è grande stima reciproca, da lui più volte manifestata pubblicamente nonostante le nostre progettualità possano apparire distanti. Lo incontrai per la prima volta ai seminari di Siena jazz, gli stessi dove ancora ci incontriamo, visto che ora anche io insegno là da diversi anni, e mi ricordo che mi aveva molto colpito il suo essere artista, soprattutto. Questa enorme qualità traspare all’istante sia dal suono sia dalla poetica compositiva e creativa che lo caratterizzano. Quest’anno, a Siena Jazz, è stato particolarmente speciale perché siamo andati sempre a pranzo insieme. Ovviamente questo ha fatto crescere la stima e l’affetto che ci legano! Tornando a casa, mi sono scoperto rigenerato e stimolato da questa esperienza”.

Vuoi dire qualcosa ad Enrico, in merito a questa ballad dal titolo “Il poeta del silenzio”, che gli hai dedicato?

Certamente sì! Caro Enrico, nel giorno del tuo compleanno ho voluto sancire e ricordare per sempre questo rapporto speciale componendo e dedicandoti questo brano”.

E vi lasciamo all’ascolto di questa meraviglia, in anteprima assoluta su questo video ma che presto, come ci ha detto Giovanni, sarà su disco, qui suonata da Giovanni Falzone (tromba), Filippo Rinaldo (Fender Rhodes), Stefano Zambon (contrabbasso), Andrea Bruzzone (batteria).

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Lingomania 2016

C’era un pezzo di storia del Jazz italiano sul palco del Big Mama, domenica sera. Maurizio Giammarco (sax alto, sax tenore), Giovanni Falzone (tromba), Umberto Fiorentino (chitarra elettrica), Furio Di Castri (contrabbasso) e Roberto Gatto (batteria) hanno dato forma e suono ai Lingomania versione 2016. Fondato da Giammarco nei primi anni Ottanta, il gruppo (all’epoca si chiamavano ancora gruppi e non progetti) dei Lingomania era uno dei must listen per un appassionato come me che bazzicava i jazz club. In quel periodo i Lingomania apparvero anche nella trasmissione televisiva DOC, presentata da Renzo Arbore e Gegè Telesforo, trasmissione credo unica nel suo genere nella quale passarono tutti i più grandi jazzisti italiani ed internazionali, compresi Miles Davis e Dizzy Gillespie.

Roberto Gatto
Roberto Gatto

Ed eccomi qua, ad ascoltarli a 30 anni di distanza dall’uscita del loro primo disco, Riverberi, a mezzo metro da loro, praticamente in mezzo a loro, in mezzo alla storia, insomma.

Partono con un pezzo up, Esosfera (M. Giammarco), tratto proprio da Riverberi, seguito dal funky Molti anni fa, anche questo up-tempo. Gli animi si scaldano subito, e lo special di fiati che lancia i soli di Falzone prima e Giammarco poi fomentano la platea. Gatto addenta una bacchetta mentre scartabella gli spartiti, trova quello che cercava e lo poggia sul timpano, poi riprende a suonare picchiando sopra lo spartito stesso, mentre un mood piacevolmente aggressivo pervade l’atmosfera del locale. Segue Images (U. Fiorentino), ballad introdotta dall’autore e sostenuta da un solo di Di Castri con l’ausilio delle percussioni di Gatto,  ma è solo un momento di calma relativa, e già si riaprono le ostilità con Conseguenze (M. Giammarco), nel quale ad una intro serrata in sezione segue un momento free che poi sfuma in un solo bop di Giammarco. Il piede comincia a battere senza ritegno quando uno special introduce un andamento funkeggiante lasciando la scena ad un Falzone scatenato. Pura goduria, lo yeah scatta automatico, e dilaga passando per il solo di Fiorentino prima e di Gatto poi, il quale letteralmente massacra la batteria che fu di Elvin Jones (Gatto mi ha poi raccontato che sulle pelli della stessa c’erano tracce del sangue del famoso batterista, il quale di certo non l’ha trattata meglio). Morning Mood (M. Giammarco), sempre tratto da Riverberi, chiude il set.

Maurizio Giammarco
Maurizio Giammarco

Il secondo set vede l’esecuzione di Riverberi, la title track del disco del 1986: la tromba ha la sordina, i tamburi sono percossi con i mallet, ed una sequenza elettronica fornisce la base ritmico-armonica per l’improvvisazione contemporanea di tromba e sax alto. Un altro giorno (U. Fiorentino), è un medium swing di classe, seguito dallo slow Waiting Sea, nel quale i soli sono esclusivamente per contrabbasso e chitarra. Si finisce ancora up con un brano di Giammarco e con la prospettiva (rivelatami da Roberto Gatto nell’intervallo) di un nuovo disco entro l’anno. Non vedo l’ora.

Giovanni Falzone
Giovanni Falzone

Umberto Fiorentino
Umberto Fiorentino

Furio Di Castri
Furio Di Castri

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Pagina del Big Mama

Fassi e Falzone fanno faville alla Casa del Jazz

Ogni tanto capita, e ieri sera mi è capitato: ho assistito ad uno dei concerti che amo definire top. Sono molti i motivi per cui un concerto può essere considerato top, ad esempio quando l’artista è particolarmente ispirato o quando il pubblico segue con grande trasporto e partecipazione. Può dipendere dal contenuto particolarmente alto della esecuzione o anche solo dall’emozione che si percepisce in sala. Ieri sera, questi ingredienti c’erano tutti.

Siamo a Roma, alla Casa del Jazz, e sul palco si incontrano due mostri sacri quali la Tankio Band di Riccardo Fassi, formazione ormai storica e con un curriculum di tutto rispetto, e Giovanni Falzone, trombettista, compositore e arrangiatore tra i più interessanti della scena italiana e non solo italiana. Il tema della serata è composto da una prima parte dedicata a Frank Zappa, con arrangiamenti di Fassi, ed una seconda parte di brani a firma di Falzone.

Della Tankio Band, attiva sulla scena da più di trent’anni, non si può dire altro che bene. Formata da elementi di prim’ordine, semplicemente, spacca. Grande impatto sonoro nella esecuzione dei brillanti arrangiamenti, grande feeling ed interplay, solisti di livello. La direzione di Fassi è attenta, discreta e generosa. Lo spazio è suddiviso con gusto ed equilibrio tra i vari musicisti, i quali si alternano, nell’arringare la platea, tra Andrea Tofanelli e Francesco Lento (trombe), Roberto Pecorelli (trombone basso), Massimo Pirone (trombone), Sandro Satta (sax alto), Michel Audisso (sax soprano, sax alto), Torquato Sdrucia (sax baritono), Pierpaolo Bisogno (vibrafono), Steve Cantarano (contrabbasso), Pietro Iodice (batteria).

Si comincia con Uncle Meat (Frank Zappa), una marcia in 3/4 che vede, come primo solista, il bravo Michel Audisso al quale si sovrappongono, ad un cenno di Fassi, gli ottoni, con un background che verrà ripetuto anche sul solo dell’ottimo Satta.

Segue Modular Blue, a firma di Riccardo Fassi, un blues modificato, come dice l’autore, ma nemmeno poi tanto visto che inizia con un assolo di trombone con plunger del collaudato Pirone, assolo che rimanda a roventi atmosfere bluesy. Il tema, prima eseguito da più strumenti all’unisono e poi armonizzato, lascia alla fine spazio ad un bruciante assolo del vibrafonista Bisogno, una vera “marcia in più” della Tankio Band sia dal punto di vista del sound che da quello più strettamente artistico. Seguono i soli di Sdrucia al baritono e di Fassi al piano, per poi riprendere il tema, strutturato in larghe volute avviluppanti secondo un tipico stile fassiano.

Viene annunciata l’esecuzione di Serial Killer, sempre a firma di Fassi, un brano ispirato alla musica seriale, ed è questo il momento dell’entrata in scena di Giovanni Falzone.

Fassi si siede al piano elettrico, e l’atmosfera si fa contemporary. La tromba effettata di Falzone fraseggia modalmente dentro e fuori dall’accordo, mentre i solidi Iodice e Cantarano marcano ritmicamente un territorio aperto al funky ed al groove. Il comping di Fassi si fa più aspro, e mi viene da pensare come, in una manciata di minuti, siamo passati attraverso influenze rock, jazz, e di musica contemporanea.

Corale causale è il primo dei brani a firma di Falzone ad essere eseguito. Basato su una scrittura contemporanea, prevede l’esecuzione di parti in sezione eseguite su cenno, secondo i dettami della tecnica detta conduction, una sorta di conduzione mista ad improvvisazione. Forse la summa delle diverse personalità di Falzone, che ha così modo di esprimersi attraverso la composizione, l’arrangiamento (anche estemporaneo) e l’esecuzione. Divertente ed evocativo l’uso del microfono della sua tromba per effettare la voce e creare una sorta di noise durante i crescendo dell’orchestra. Non scrivere col pennarello non adatto (che inizia con Falzone da solo per poi accogliere nel quadro sonoro anche batteria, contrabbasso e piano elettrico), una vibrante versione di So What (Miles Davis), fondata su un ritmo che somiglia ad un bolero, sono parte del contributo di scrittura che Falzone porta come presente per la serata.

Ma il contributo di Falzone, oltre che squisitamente musicale, è ludico ed istrionico. Si muove a tempo, balla, esegue la conduction. Crea una fisicità sul palco inusuale per il pubblico del Jazz. L’impasto con la Tankio Band è dirompente, e l’effetto sulla platea è di puro divertimento. Impossibile non battere il piede, impossibile non gridare “yeah”.

Ancora Zappa, con la meravigliosa ballad dal titolo Twenty Small Cigars, e poi Let’s Make the Water Turn Black, Eat That Question, e King Kong, il bis che chiude la serata. Una serata che dovrebbe essere trasmessa in prima serata.

Intervista radio a Giovanni Falzone

Intervista radio a Riccardo Fassi