C’era un pezzo di storia del Jazz italiano sul palco del Big Mama, domenica sera. Maurizio Giammarco (sax alto, sax tenore), Giovanni Falzone (tromba), Umberto Fiorentino (chitarra elettrica), Furio Di Castri (contrabbasso) e Roberto Gatto (batteria) hanno dato forma e suono ai Lingomania versione 2016. Fondato da Giammarco nei primi anni Ottanta, il gruppo (all’epoca si chiamavano ancora gruppi e non progetti) dei Lingomania era uno dei must listen per un appassionato come me che bazzicava i jazz club. In quel periodo i Lingomania apparvero anche nella trasmissione televisiva DOC, presentata da Renzo Arbore e Gegè Telesforo, trasmissione credo unica nel suo genere nella quale passarono tutti i più grandi jazzisti italiani ed internazionali, compresi Miles Davis e Dizzy Gillespie.

Ed eccomi qua, ad ascoltarli a 30 anni di distanza dall’uscita del loro primo disco, Riverberi, a mezzo metro da loro, praticamente in mezzo a loro, in mezzo alla storia, insomma.
Partono con un pezzo up, Esosfera (M. Giammarco), tratto proprio da Riverberi, seguito dal funky Molti anni fa, anche questo up-tempo. Gli animi si scaldano subito, e lo special di fiati che lancia i soli di Falzone prima e Giammarco poi fomentano la platea. Gatto addenta una bacchetta mentre scartabella gli spartiti, trova quello che cercava e lo poggia sul timpano, poi riprende a suonare picchiando sopra lo spartito stesso, mentre un mood piacevolmente aggressivo pervade l’atmosfera del locale. Segue Images (U. Fiorentino), ballad introdotta dall’autore e sostenuta da un solo di Di Castri con l’ausilio delle percussioni di Gatto, ma è solo un momento di calma relativa, e già si riaprono le ostilità con Conseguenze (M. Giammarco), nel quale ad una intro serrata in sezione segue un momento free che poi sfuma in un solo bop di Giammarco. Il piede comincia a battere senza ritegno quando uno special introduce un andamento funkeggiante lasciando la scena ad un Falzone scatenato. Pura goduria, lo yeah scatta automatico, e dilaga passando per il solo di Fiorentino prima e di Gatto poi, il quale letteralmente massacra la batteria che fu di Elvin Jones (Gatto mi ha poi raccontato che sulle pelli della stessa c’erano tracce del sangue del famoso batterista, il quale di certo non l’ha trattata meglio). Morning Mood (M. Giammarco), sempre tratto da Riverberi, chiude il set.

Il secondo set vede l’esecuzione di Riverberi, la title track del disco del 1986: la tromba ha la sordina, i tamburi sono percossi con i mallet, ed una sequenza elettronica fornisce la base ritmico-armonica per l’improvvisazione contemporanea di tromba e sax alto. Un altro giorno (U. Fiorentino), è un medium swing di classe, seguito dallo slow Waiting Sea, nel quale i soli sono esclusivamente per contrabbasso e chitarra. Si finisce ancora up con un brano di Giammarco e con la prospettiva (rivelatami da Roberto Gatto nell’intervallo) di un nuovo disco entro l’anno. Non vedo l’ora.



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