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Fassi e Falzone fanno faville alla Casa del Jazz

Ogni tanto capita, e ieri sera mi è capitato: ho assistito ad uno dei concerti che amo definire top. Sono molti i motivi per cui un concerto può essere considerato top, ad esempio quando l’artista è particolarmente ispirato o quando il pubblico segue con grande trasporto e partecipazione. Può dipendere dal contenuto particolarmente alto della esecuzione o anche solo dall’emozione che si percepisce in sala. Ieri sera, questi ingredienti c’erano tutti.

Siamo a Roma, alla Casa del Jazz, e sul palco si incontrano due mostri sacri quali la Tankio Band di Riccardo Fassi, formazione ormai storica e con un curriculum di tutto rispetto, e Giovanni Falzone, trombettista, compositore e arrangiatore tra i più interessanti della scena italiana e non solo italiana. Il tema della serata è composto da una prima parte dedicata a Frank Zappa, con arrangiamenti di Fassi, ed una seconda parte di brani a firma di Falzone.

Della Tankio Band, attiva sulla scena da più di trent’anni, non si può dire altro che bene. Formata da elementi di prim’ordine, semplicemente, spacca. Grande impatto sonoro nella esecuzione dei brillanti arrangiamenti, grande feeling ed interplay, solisti di livello. La direzione di Fassi è attenta, discreta e generosa. Lo spazio è suddiviso con gusto ed equilibrio tra i vari musicisti, i quali si alternano, nell’arringare la platea, tra Andrea Tofanelli e Francesco Lento (trombe), Roberto Pecorelli (trombone basso), Massimo Pirone (trombone), Sandro Satta (sax alto), Michel Audisso (sax soprano, sax alto), Torquato Sdrucia (sax baritono), Pierpaolo Bisogno (vibrafono), Steve Cantarano (contrabbasso), Pietro Iodice (batteria).

Si comincia con Uncle Meat (Frank Zappa), una marcia in 3/4 che vede, come primo solista, il bravo Michel Audisso al quale si sovrappongono, ad un cenno di Fassi, gli ottoni, con un background che verrà ripetuto anche sul solo dell’ottimo Satta.

Segue Modular Blue, a firma di Riccardo Fassi, un blues modificato, come dice l’autore, ma nemmeno poi tanto visto che inizia con un assolo di trombone con plunger del collaudato Pirone, assolo che rimanda a roventi atmosfere bluesy. Il tema, prima eseguito da più strumenti all’unisono e poi armonizzato, lascia alla fine spazio ad un bruciante assolo del vibrafonista Bisogno, una vera “marcia in più” della Tankio Band sia dal punto di vista del sound che da quello più strettamente artistico. Seguono i soli di Sdrucia al baritono e di Fassi al piano, per poi riprendere il tema, strutturato in larghe volute avviluppanti secondo un tipico stile fassiano.

Viene annunciata l’esecuzione di Serial Killer, sempre a firma di Fassi, un brano ispirato alla musica seriale, ed è questo il momento dell’entrata in scena di Giovanni Falzone.

Fassi si siede al piano elettrico, e l’atmosfera si fa contemporary. La tromba effettata di Falzone fraseggia modalmente dentro e fuori dall’accordo, mentre i solidi Iodice e Cantarano marcano ritmicamente un territorio aperto al funky ed al groove. Il comping di Fassi si fa più aspro, e mi viene da pensare come, in una manciata di minuti, siamo passati attraverso influenze rock, jazz, e di musica contemporanea.

Corale causale è il primo dei brani a firma di Falzone ad essere eseguito. Basato su una scrittura contemporanea, prevede l’esecuzione di parti in sezione eseguite su cenno, secondo i dettami della tecnica detta conduction, una sorta di conduzione mista ad improvvisazione. Forse la summa delle diverse personalità di Falzone, che ha così modo di esprimersi attraverso la composizione, l’arrangiamento (anche estemporaneo) e l’esecuzione. Divertente ed evocativo l’uso del microfono della sua tromba per effettare la voce e creare una sorta di noise durante i crescendo dell’orchestra. Non scrivere col pennarello non adatto (che inizia con Falzone da solo per poi accogliere nel quadro sonoro anche batteria, contrabbasso e piano elettrico), una vibrante versione di So What (Miles Davis), fondata su un ritmo che somiglia ad un bolero, sono parte del contributo di scrittura che Falzone porta come presente per la serata.

Ma il contributo di Falzone, oltre che squisitamente musicale, è ludico ed istrionico. Si muove a tempo, balla, esegue la conduction. Crea una fisicità sul palco inusuale per il pubblico del Jazz. L’impasto con la Tankio Band è dirompente, e l’effetto sulla platea è di puro divertimento. Impossibile non battere il piede, impossibile non gridare “yeah”.

Ancora Zappa, con la meravigliosa ballad dal titolo Twenty Small Cigars, e poi Let’s Make the Water Turn Black, Eat That Question, e King Kong, il bis che chiude la serata. Una serata che dovrebbe essere trasmessa in prima serata.

Intervista radio a Giovanni Falzone

Intervista radio a Riccardo Fassi

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Enrico Ghelardi Boptet @ Alexanderplatz

Abbiamo fatto un gioco, ieri sera: Enrico era il macchinista e noi i passeggeri; siamo saliti sul suo treno ed è iniziato il viaggio… Assistere al concerto dell’Enrico Ghelardi Boptet mi ha dato questa precisa emozione, quella di essere trasportato su un mezzo potente, sicuro, che sai per certo non si fermerà per strada. Il richiamo più marcato è al cool ma anche alle grandi orchestre, visto che la presenza di strumenti nella gamma più grave dello spettro sonoro, il trombone ed il baritono, creano una sonorità piena e grassa, ad imitazione del sound di formazioni ben più ampie.

Enrico Ghelardi Boptet @ Alexanderplatz
Enrico Ghelardi Boptet @ Alexanderplatz

Ma ripercorriamolo, questo viaggio. I capitreno sono Massimo Pirone al trombone, Pierpaolo Principato al pianoforte, Steve Cantarano al contrabbasso e Max De Lucia alla batteria. Enrico ha tre locomotive diverse, che sceglie in base alla necessità: il sax tenore, il sax baritono, il clarinetto basso. Si parte con il sax tenore ed il brano Moony, tratto dal disco That’s Time!, appena uscito. Lo swing ci cattura fin dall’attacco, il treno parte con energia e senza scossoni. La sezione ritmica si muove fluida e sinuosa mentre sax e trombone fraseggiano stando nel tempo e nella tonalità. Anche il piano fraseggia in tonalità, salvo usare frammenti di scale alterate o sequenze triadiche per creare repentini momenti di tensione, risolvendo di nuovo più in là e dando così rassicurazione ai passeggeri. Massimo sceglie più volte di usare il registro alto del suo strumento, come in Dhatri, la bella bossanova inclusa nel disco. Sempre presente l’interplay, con il piano che riprende il trillo finale del tenore all’inizio del solo in A Sunny Day o con il contrabbasso che, nello stesso brano, esegue l’assolo mantenendo la stessa pulsazione della walking line tenuta fino a quel momento, interagendo in modo molto raffinato con l’accompagnamento. Non manca la ballad struggente, lo standard Too Young To Go Steady, il cui clima cupo risulta ottimamente interpretato anche in virtù dalla sequenza degli strumenti solisti (clarinetto basso/trombone/contrabbasso).

L’ultimo brano, Go On, ci fa entrare in stazione. Si scende, il viaggio è finito, ma la voglia di ripartire è tanta. E allora, niente di meglio che acquistare il CD ed ascoltarlo subito, in macchina, mentre si torna a casa.

That's Time!, Enrico Ghelardi Boptet
That’s Time!, Enrico Ghelardi Boptet

Disco: That’s Time!
Artista: Enrico Ghelardi Boptet

Tracce:

01. Moony
02. That’s Time!
03. Waiting
04. A Sunny Day
05. Too Young To Go Steady
06. Take Up
07. Love Me Or Leave Me
08. Dhatri
09. Go On

Etichetta: Barvin
Anno: 2012

Marcello Rosa Trio @ 28DiVino Jazz

Mi è capitato di vedere Marcello Rosa al 28divino, venerdì 12 ottobre scorso. La formazione del trio senza batteria (piano/contrabbasso/trombone), la scelta originale degli standard (tra i quali una versione molto suggestiva di Amazing Grace), l’ironia pungente di Marcello, tutte queste cose hanno contribuito a creare un’atmosfera tanto emozionante quanto piacevole.

Trovo sempre molto bello, nel jazz dal vivo, il fatto che la musica si possa respirare come un aroma intenso, a partire dagli arredi del club (deliziosa l’accoglienza del 28DiVino), passando per gli strumenti (veri!) fatti di ottone, legno, corde e pelli, e finendo con il suono acustico (a volte condito con salsa elettrica o elettronica, perché no), un suono che ti riempie di energia e ti rigenera, anche e sopratutto dopo una dura giornata di lavoro.

Ebbene il trio di Marcello, comprendente Paolo Tombolesi al piano e Steve Cantarano al contrabbasso, mi ha fatto respirare l’aroma inebriante del jazz, dando a me e a tutto il resto del pubblico quella sferzata di musica e gioia che solo il jazz riesce a dare. Marcello Rosa sembrava dipingere con il suo trombone un universo di note giuste, quando melodiche e romantiche e quando pregne di istinti bassoventrali, mentre Paolo Tombolesi mi ha incantato con il suo pianismo emozionale, denso di blues, fluido, come nell’assolo a tempo raddoppiato innestato su una esposizione del tema di Summertime eseguita su un pedale marcatamente spiritual. Fondamentale la presenza del collaudato Steve Cantarano, che ha incarnato splendidamente la ritmica non facendo sentire la mancanza del batterista anzi, contribuendo con uno swing impeccabile alla musica della serata.

Il tutto ripreso dalle telecamere di Jazz Channel, per cui vi consiglio di buttare un occhio alla programmazione anche se, mi dispiace per voi, non riuscirete a respirare l’aroma, quello che ho respirato io…

Marcello Rosa Trio @ 28divino Jazz
Marcello Rosa Trio @ 28divino Jazz