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Fabrizio Bosso incanta Terni

Certo è difficile oggi, nel ventunesimo secolo. Difficile perché, dicono tutti, tutto è stato detto. Siamo passati dal tonale all’atonale, dagli Spiritual allo Swing, dal Bebop al Cool al Jazz Rock al Free Jazz. “L’avanguardia è nei sentimenti”, diceva Massimo Urbani nell’intervista La fabbrica abbandonata di Paolo Colangeli, ed è proprio questo concetto che potrebbe tornarvi in mente assistendo al concerto al quale hanno assistito quanti sono venuti oggi a Terni, al Teatro Secci. Perché se è vero che oggi per stupirci ci vorrebbe un miracolo, oggi al miracolo ci siamo andati davvero vicini. Non parliamo di bravura tecnica o di virtuosismo, i quali pure traspaiono in grande quantità tra le pieghe di questo concerto. Non parliamo di ossequio al pubblico, di voler cercare a tutti i costi l’applauso tralasciando quello che un artista di solito fa o dovrebbe fare, proporre cioè una nuova visione, nuove chiavi di lettura della realtà. Parliamo invece di gusto, di inventiva, di voglia di sperimentare ma senza tralasciare il divertimento. Parliamo di capacità di entrare in empatia con lo spettatore, di comunicare, prima ancora che note, sentimenti. E cosa c’è di meglio, per comunicare dei sentimenti, che farli risuonare nelle note di un tema o di un assolo?

Fabrizio Bosso non ha certo bisogno di presentazioni. Trombettista di talento, ha suonato in contesti diversi e sempre prestigiosi. Ed il suo quartetto si compone di altrettanti talentuosi musicisti: Nicola Angelucci (batteria), Jacopo Ferrazza (contrabbasso), Julian Oliver Mazzariello (pianoforte). Musicisti che, tutti insieme, hanno volato e fatto volare i presenti con brani di provenienze e mood diversi.

Si parte forte con Another Star di Stevie Wonder, che a dispetto della sua datazione (anni Settanta) sembra vestito di nuovo, suonato con un piglio jazzistico tale da conferirgli una propria personalità autonoma. Poi si rallenta, ma non troppo, con In volo, di Bosso, un brano malinconico, pur con un suo movimento fluido che ci invita a fuggire dalla malinconia, o per lo meno a farla camminare sempre almeno un metro dietro di noi. Ineffabile il lavoro ritmico della coppia Ferrazza/Angelucci, contrabbassista e batterista dotati di grande interplay. Jacopo Ferrazza è un musicista di razza, con molti anni di esperienza alle spalle e con un progetto in trio particolarmente interessante a proprio nome. Angelucci è un batterista raffinato, dotato di grande swing e senso sonoro, in grado di incontrare il gusto di musicisti italiani ed internazionali, con i quali ha ed ha avuto numerose collaborazioni. Non è da meno Mazzariello, pianista di grande inventiva, con sue peculiari personalissime grammatica e sintassi, autore del successivo brano Godness Gacious, dal sapore anni Trenta, che Bosso affronta con la sordina a creare quella tipica sonorità.

Tutto il concerto spazia poi da classici come Do You Know What It Means To Leave New Orleans di Louis Alter, a brani di Stevie Wonder (il citato Another StarSir Duke, dannatamente swingante, impossibile non battere il piede), fino a brani di grande impatto emotivo come Cantabile di Michel Petrucciani, che evoca il genio francese troppo presto scomparso, un altro classicissimo come Caravan (Duke Ellington), per finire con un altro brano di Bosso dal titolo Minor Mood.

Bosso è una miscela ben dosata di dolcezza e forza bruta, poesia e prosa, toni vellutati e frustate sonore. La miscela di un musicista che vuole dare quell’emozione di cui parlavamo all’inizio di questa storia. Una miscela fatta di pianissimo, di fortissimo, e di tutte le sfumature che ci sono nel mezzo, tante quante quelle delle nostre anime erranti. Perché qualunque viandante che si fermasse ad ascoltare il concerto del Fabrizio Bosso Quartet, da qualunque parte provenisse e per quanta strada avesse fatto, sarebbe completamente rinfrancato dal suono di questa band. Se vi capita a tiro, non perdetevela.

Fabrizio Bosso – Sito ufficiale

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Dado, Max e Stevie alla Casa del Jazz

Sono molto fortunato. Ultimamente mi capita di assistere a grandi concerti, e questo fa bene al cuore. Come ieri sera, alla Casa del Jazz, con Max Ionata (sax tenore, sax soprano) e Dado Moroni (piano, contrabbasso), i quali hanno meravigliosamente omaggiato la musica di Stevie Wonder. L’ho già scritto, e lo ribadisco: sono sempre scettico di fronte ad operazioni di questo genere, che spesso altro non sono che una strizzata d’occhio alla pratica commerciale di vendere un prodotto a più categorie di persone, al jazzofilo come al non iniziato. Ma questa è una di quelle volte in cui occorre ricredersi subito.

Il progetto presentato ieri alla Casa del Jazz è già disco, prodotto da Jando Music in collaborazione con Via Veneto Jazz, uno splendido disco, che occorre assolutamente ascoltare prima di esprimere giudizi affrettati. Parliamo dei musicisti? Difficile pronunciare aggettivi diversi da: strepitosi, swinganti e, perché no, sensuali. Ascoltare il loro concerto è come fare del buon sesso, godimento mentale ed anche fisico. Il feeling tra i due è perfetto, i colori si alternano con sapienza all’interno del paesaggio armonico disegnato da Moroni, mentre Ionata tratteggia le sue linee con gusto e raffinatezza. Ma non è una raffinatezza patinata, al contrario, contiene in nuce lo spirito del blues tipico della musica afro-americana.

Le vibrazioni cominciano dalle prime armonie, tensive quanto basta, già con The Secret Life Of Plants, piazzata ad inizio scaletta. Una intro di piano sognante e marcatamente jazz a creare una atmosfera da club. Uno scarto laterale, ed il piano attacca un ostinato di accordi sul quale si innesta il soprano di Ionata, ed il viaggio inizia.

Sexy e carica di blues la versione di Isn’t She Lovely che i due eseguono poi, con Moroni ad utilizzare la tecnica dello stride piano e Ionata a fraseggiare con il tenore. La canzone risulta così rivestita di una nuova identità, che funziona autonomamente al di là del successo mondiale della versione originale.

Ma poi, dicono i due alternandosi nelle presentazioni durante il concerto, Stevie Wonder è un jazzista, in realtà. E a riprova di ciò eseguono Chan’s Song, facente parte della colonna sonora del film Round Midnight di Bertrand Tavernier, che è stato scritto da Wonder insieme ad Herbie Hancock.

Momenti intensi ed infuocati sono il leitmotiv della performance, come quando Ionata esegue da solo la trascinante I Wish, coinvolgendo il pubblico in uno spontaneo battere di mani sul due e sul quattro ma dimostrando di non averne assolutamente bisogno, avendo ricreato da solo il groove che in genere solo un rodato gruppo completo di sezione ritmica riesce a creare. Poco più avanti, Moroni imbraccia il contrabbasso e anche qui dà prova di grande senso dello swing, erigendo solide walkin’ line che Ionata scala con perizia.

Non mancano momenti sognanti. Come in Overjoyed, abbastanza fedele all’originale ma con un retrogusto di note alterate che tanto gratifica il palato di chi ama il Jazz, o Ribbon In The Sky, eseguita in piano solo.

Curioso l’aneddoto, raccontato da Dado Moroni, a proposito di Piero Angela, presente tra gli spettatori. Durante una tournee in Giappone con i leggendari Modern Jazz Quartet, Dado fece loro ascoltare una registrazione di Peter Angela, ovvero di quello che tutti conoscono come giornalista e divulgatore scientifico, ma che vanta un passato come pianista jazz. A turno, Milt Jackson, John Lewis e gli altri ascoltarono e tutti pensarono si trattasse di Art Tatum.

Il bis è la ciliegina sulla torta: un riassunto, magistrale, di brani di Duke Ellington, al quale i due hanno dedicato il loro precedente disco. Tanti brani, passati in rassegna senza soluzione di continuità, partendo da In A Sentimental Mood, passando per Take The A Train, Satin Doll e fino a Caravan, sulla struttura del quale vengono eseguiti i soli, e poi a ritroso, in una sorta di esecuzione palindroma, per finire a sorpresa con A Child Is Born (Thad Jones, Alec Wilder).

Alla fine del concerto, presentato da Gegè Telesforo, una folla di entusiasti ha assediato i due musicisti tanto che è stato difficile ritagliare il tempo per una intervista. Ma ce l’abbiamo fatta, e la trovate qui: intervista a Max Ionata e Dado Moroni

Two for Stevie alla Casa del Jazz

Dopo l’omaggio a Duke Ellington, Dado Moroni e Max Ionata presentano un nuovo progetto dedicato a Stevie Wonder. Artista indiscusso della black music, Wonder è uno degli alfieri del soul e del rhythm and blues con contaminazioni pop, funky, reggae e Jazz. E proprio dal Jazz Moroni e Ionata iniziano questo viaggio alla scoperta della musica di Stevie Wonder, proponendo i suoi brani più importanti tra i quali OverjoyedIsn’t She Lovely, You Are The Sunshine Of My Life.

Venerdi 27 marzo 2015, alla Casa del Jazz, presentano il loro cd, prodotto da Jando Music in collaborazione con Via Veneto Jazz, un disco che ripercorre le tappe artistiche di Wonder dai grandi successi di Songs In The Key Of Life alle magie contenute in Hotter than July. Una serata all’insegna di nuove emozioni, ma su ritmi mai dimenticati.

Two for Stevie alla Casa del Jazz
Max Ionata | sax
Dado Moroni | piano and doublebass

Ore 21.00 – Ingresso € 10:00
Per gli eventi con inizio alle ore 21 la biglietteria è aperta al pubblico dalle ore 19 alle ore 22
Acquisto ONLINE http://bit.ly/1MrqEap

Jazz meets Pop, Soul & co.

Una serata di puro relax ieri, nel simpatico Motòbistrò in zona Piramide, accompagnata dalla voce e chitarra di Joe Slomp e dal pianoforte di Pierpaolo Principato. Un percorso musicale easy, ma con profonde radici nel Jazz e nel Blues. Sì perché i due personaggi la sanno lunga…

Joe ha all’attivo tantissime e diverse collaborazioni, nonché tre dischi come leader. Forte è la commistione dei generi nel suo disco di esordio, Introducing Joe Slomp (2001), nel quale si spazia da Joni Mitchell a David Crosby, da Robert Palmer a Michael Mc Donald passando per Stevie Wonder, da Bruce Springsteen a Leonard Bernstein. Profondamente ispirata al Jazz è la scelta e gli arrangiamenti dei brani di New Move (2009), secondo disco a suo nome, nel quale Coltrane viene affiancato a Lennon/McCartney e ai Coldplay. I puristi storceranno il naso, ma prima di farlo li invito ad ascoltare questo lavoro splendidamente suonato, oltre che da Joe Slomp alla voce, da Stefano Micarelli (chitarra), Dario Deidda (basso), Pino Iodice (pianoforte e tastiere), Pietro Iodice (batteria), e con la partecipazione di Pauline London (seconda voce).

Pierpaolo vanta una carriera come jazzman di altissimo livello, con collaborazioni importanti e diverse: Francesco Bruno, Agostino Marangolo, Richard Bona, Enzo Pietropaoli, Antonello Salis e tanti altri. È stato inoltre il preparatore del protagonista Kim Rossi Stuart nel film Piano solo, dedicato al pianista Luca Flores.

Joe Slomp/Pierpaolo Principato
Joe Slomp/Pierpaolo Principato

Tutto questo background musicale trapela dall’ascolto live di questo bel duo che, sia che suoni The Very Thought Of You (R. Noble) o Some Other Time (L. Bernstein), sia che suoni Overjoyed (S. Wonder) o Alone Again Naturally (G. O’Sullivan), porta all’orecchio dei fortunati ascoltatori il gusto e la classe del Jazz patinato, rendendo i vari brani belli e croccanti allo stesso modo, in tutti insinuando il germe della superlocria e della blue note.

Non mi rimane che fare un pubblico, esplicito invito ad entrambi: far sì che questa bella e piacevole serata non sia stata solo una rimpatriata tra vecchi amici, ma che sia l’inizio di un progetto in duo che li porti magari anche ad incidere un disco.

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Pierpaolo Principato , Pierpaolo Principato su Facebook