Grande serata ieri sera nel cortile al 51/A di Via Margutta, dove un manipolo di folli ha organizzato il Summer Jazz Fest che, insieme all’Appio Claudio in Jazz, sono le uniche offerte della Roma jazzistica estiva rimaste in piedi dopo la debacle della Casa del Jazz e Villa Celimontana.

Roy Hargrove, stella statunitense dell’hardbop , ha deliziato con il suo quintetto la platea di appassionati accorsi da ogni angolo della capitale. Sul palco, oltre a lui (tromba, flicorno), c’erano Sullivan Fortner (pianoforte), Justin Robinson (sax alto), Ameen Saleem (contrabbasso), Quincy Phillips (batteria).
Un quintetto rilassato, perfettamente a proprio agio, introdotto dal pianoforte personale ed intrigante di Fortner il quale ha dato il via ad una ballad, inusuale quanto suggestiva apertura di concerto. Melodia dunque, ma non solo. Ritmo, declinato dallo swing al funky, con qualche subitanea incursione in atmosfere urban, del groove e del dubstep, che richiamano mondi musicali apparentemente distanti ma molto ben amalgamati al contesto.

Elegante ed essenziale il trombettismo di Hargrove, che dà il suo meglio nei brani lenti, ben complementato dal sax di Robinson, che ha innata tendenza ad “aprire” la palette tonale e ad arrampicarsi sull’out playing e gli overtones. Precisa e tagliente la ritmica, con Phillips in gran forma ed un ispirato Saleem. Spicca poi il pianismo di Fortner, sempre un filo fuori contesto, come un ricercato fuori sincrono che conferisce verve all’insieme, grazie anche all’utilizzo di accordi tensivi a interrompere la linea improvvisativa.
Il concerto va via via surriscaldandosi, con i solisti che prendono sempre meglio la misura ed il groove che sale fino ad essere paritario rispetto al resto: è il momento in cui Hargrove lascia la tromba, prende il cowbell e inizia a dialogare con batteria e contrabbasso, per poi tornare al suo strumento e buttare giù un bel funky special che introduce il vertiginoso assolo di piano. Roy canta inoltre, subito dopo averla eseguita in versione strumentale, la ballad Never Let Me Go, e aggiunge così una emozione che ai più ricorda l’indimenticato Chet Baker.
Un concerto elettrico, denso. da vedere. E stasera si replica, stessa formazione e, immaginiamo, stessa elettricità.

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