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Un folle giro di giostra

Chi mi conosce lo sa, ho un debole per gli organ trio. Per organ trio si intende un trio formato, la maggior parte delle volte, da hammond, batteria e da uno strumento solista, che sia il sax o la chitarra. Ma mai, prima di ieri, mi era capitato di ascoltare un organ duo, hammond e batteria. Come nel tipico trio, anche nel duo manca il contrabbasso. Una assenza importante, ma anche uno stimolo in più per i musicisti, che se lo devono immaginare. E dovendolo immaginare (salvo sostituirlo con il registro basso dell’organo, detto manuale inferiore), la musica guadagna in ariosità e rimane quasi sospesa, fluttuando sul tempo in maniera ancora più indeterminata rispetto a quanto non succeda già normalmente nello swing.

A dire la verità, ieri, nella consueta Guida all’ascolto curata da Gerlando Gatto, c’era anche il pianoforte. Lorenzo Tucci (batteria) e Luca Mannutza (piano e hammond), ci hanno regalato un miniconcerto gradevole, frizzante ed assolutamente rigenerante, fruito dalle comode poltrone della Casa del Jazz. Hanno attraversato, interpretandoli con personalità e classe, standard come Tea For Two, (Caesar, Youmans) e Just One Of  Those Things (Cole Porter), nonché brani come Bemsha Swing (Thelonious Monk) ed Inception (McCoy Tyner).

Gerlando Gatto, dopo aver ricordato Butch Morris, da poco scomparso, ha dato fuoco alle polveri deliziando la platea con alcune golosità d’annata, come la versione di Tea For Two eseguita da Art Tatum prima e nell’arrangiamento di Shostakovich poi, o come Bemsha Swing nelle versioni di Monk stesso e in quella dei Caribean Jazz Project. Il complemento live, come dicevo, è stato di prim’ordine; l’impatto del suono di hammond, sempre caldo e seducente, il drumming raffinato di Tucci, ci hanno trascinato in un folle giro di giostra e fatto provare, come scrive meravigliosamente Daniela Floris nelle note di copertina del loro disco Lunar, “l’esaltante sensazione di essere noi, i folli”.

Tucci/Mannutza Duo
Tucci/Mannutza Duo

Link:

CD “Lunar” Tucci/Mannutza

Organo Hammond

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Marco Guidolotti 4et @ 28DiVino Jazz

Dopo aver parcheggiato mi sto avviando a piedi su per via Mirandola, in direzione del 28DiVino, e nel tragitto incrocio il bar all’angolo, con sedie e tavolini piene di ragazzi che ammazzano la notte in attesa di andare a dormire. Poco più avanti, vedo una calca gentile che preme sull’ingresso del 28, e allora mi faccio la seguente, forse ingenua, domanda: ma a questi ragazzi che si annoiano sui tavolini di questo bar non viene la curiosità o la voglia di andare a sentire il concerto jazz che si tiene a 50 metri da loro? Mentre ancora la domanda mi frulla nella mente sono già nel club, pronto a immergermi ancora una volta nel Jazz.

La formazione è di quelle senza piano né chitarra: Marco Guidolotti, sassofono baritono, Mario Corvini, trombone, Jacopo Ferrazza, contrabbasso, Valerio Vantaggio, batteria. L’atmosfera è decisamente cool, piena, con arpeggi su accordi diminuiti e swing a tutta manetta. Il richiamo è a Gerry Mulligan, a Bob Brookmeyer e al loro quartetto pianoless. Mario Corvini è il perfetto comprimario di Guidolotti: la nota bravura del trombonista è qui messa al servizio dei brani, senza fronzoli e senza manierismi. Le note del trombone sono là, nell’aria, e all’ascoltatore rimane facile raccoglierle e farne tesoro.  La struttura ritmica è metronomica: preciso e rilassato il walking di Jacopo Ferrazza, attento e mai invadente il drumming di Valerio Vantaggio.

Marco Guidolotti non aspetta e ci coinvolge da subito. Fin dalle prime note, lo swing si impossessa di noi e ci avviluppa nelle sue mobili maglie. Il sassofono baritono si muove agile fraseggiando con grazia e maestria, mentre il trombone risponde con eleganza per niente snob.

Guidolotti non suona, ascolta. Ascolta sé stesso un attimo prima di emettere ogni singola nota, ispirato forse dai tanti ascolti che immaginiamo avrà fatto (al di là del mero studio e dell’analisi dei brani, del fraseggio, della pronuncia e dell’articolazione) dei grandi sassofonisti del passato, il tutto filtrato e rielaborato con personalità e un tocco di verve. Fraseggio cool, scambi di quattro tra i solisti, stop time, sono le cifre di questa serata. Una serata bella, piena di colore e di allegria. Tredici brani, in parte di Mulligan, in parte di Guidolotti, e altri presi dalla grande tradizione, compresa una rivisitazione (abbastanza irriconoscibile ma sicuramente intrigante) di Tea For Two. E un bis finale, Four Brothers di Jimmy Giuffre, bis chiesto unanimemente dal numeroso pubblico presente.

Volano via le due ore di concerto divise in due set, e all’una siamo tutti fuori dal club a chiacchierare. Poco più in là, davanti al bar all’angolo, i ragazzi ci sono ancora, stanchi come se avessero fatto chissà ché, probabilmente svuotati di vita, senza sapere che noi, invece, ne siamo ebbri.

Info su Marco Guidolotti

Marco Guidolotti 4et @ 28DiVino Jazz
Marco Guidolotti 4et @ 28DiVino Jazz

Bernie’s tune