Ho visto un miracolo, e l’ho visto coi miei occhi. Alla Casa del Jazz, a Roma, ieri sera. Nella stesso luogo e alla stessa ora di tante altre sere romane, là dove di solito ci sono duecento o trecento spettatori ad assistere ai concerti di bravissimi jazzisti che si avvicendano nell’ambito del Festival 2013, ieri credo ce ne fossero più di un migliaio, o quasi. Una fila interminabile (un’ora di coda ho fatto per entrare, mentre di solito ci vogliono dai due ai tre minuti), sperso tra centinaia di fan di Stefano Bollani. O dovrei dire jazzofili?
Il fatto è che di jazzofili veri, come di solito ce ne sono alla Casa del Jazz, oggi ce ne sono veramente pochi. Così pochi che i più non colgono minimamente il riferimento ironico al mancato bis di Keith Jarrett ad Umbria Jazz, e si limitano a guardare Bollani con aria interrogativa. E rimangono freddi anche quando il pianista milanese attacca a suonare con il suo Danish Trio, insieme a Jesper Bodilsen (contrabbasso) e Morten Lund (batteria), andando a spasso per i vari sottogeneri jazzistici e passando senza soluzione di continuità dal piano solo di ispirazione contemporanea ad una trascinante interpretazione di Billie’s Bounce di Charlie Parker, accennando in successione allo stride piano, ad un pianismo virtuoso alla Oscar Peterson, ad atmosfere intimiste di ispirazione nordica (giusto omaggio ai suoi compagni di viaggio danesi). Come se fossimo su dei pattini, ci muoviamo tra le colline di un paesaggio sonoro variegato, denso di swing, di colori armonici tensivi, di atmosfere dilatate.
Il pubblico rimane per lo più freddo, dicevo, e in questo sta la mia prima riflessione. Bollani è un pianista Jazz ma, per il grande pubblico, è il personaggio Stefano Bollani. A poco serve la presentazione del patròn Giampiero Rubei, il quale ricorda i primi tempi di Bollani all’Alexanderplatz: Bollani è oggi il conduttore radiofonico e televisivo, l’istrione musicale, il folletto che in pochi minuti, a Sanremo, sbanca l’Auditel. La Televisione, dunque, è la responsabile del miracolo. Un miracolo che per una volta rende giustizia a chi questo miracolo lo merita: Bollani era, prima del miracolo, ed è anche oggi, un indiscusso talento.
La platea ascolta per lo più in rispettoso silenzio, senza dare segni di reazione alcuna alle acrobazie musicali del trio. Ma ecco, un secondo miracolo: Bollani prende un ostinato e inizia a cantarci su col microfono, canzoni e canzonette alla rinfusa fino a dare vita ad una versione parodiata di Billie Jean, con tanto di urletti alla Michael Jackson, mosse e smorfie, ed il pubblico si scioglie. E giù risate a ricordarci che, a molte di queste persone, del Jazz non importa un gran ché. Peccato, perché il livello musicale è altissimo e merita molta più attenzione che non quella dedicata alle simpatiche “facce” di Stefano.
Termina la parodia ma la musica continua, sempre altissima, pure nella reinterpretazione di un classico della canzone italiana, Come prima, che con il trattamento riservatole da Bollani & co. in un attimo assurge ad un rango ben più alto di quello nel quale la canzone è nata e si è diffusa. Ma sempre con la continua presenza dell’ironia, del gioco, come quando Bollani tenta (senza riuscirci) di smontare il coperchio del pianoforte finendo col renderlo semi-inutilizzabile e trovandosi a dover intonare:”Show must go on!”.
Il concerto finisce con una swingante smozzicatura di There Will Never Be Another You, un brano che Bollani sembra prediligere soprattutto in chiusura delle sue esibizioni, mentre il bis, Sopra i vetri (musica di Fiorenzo Carpi, parole di Dario Fo), è cantata in omaggio a Enzo Jannacci, che più volte l’ha eseguita.
Proprio con riferimento a Enzo Jannacci, con lo spirito del quale Stefano Bollani sembra essere in perfetta sintonia, mi viene da pensare che la musica e il gioco possono andare d’accordo benissimo, a patto che il pubblico cresca e sia in grado sempre più di cogliere, oltre all’ironia, anche la musicalità e l’arte in generale. Voglio pertanto pubblicamente invitare tutti coloro che erano alla Casa del Jazz ad approfondire il discorso sul Jazz, per poter apprezzare Bollani a tutto tondo.