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Pacman Returns

Il 28Divino Jazz è sempre in prima linea nell’offrire ai suoi soci le novità della scena musicale. Ed anche stasera un nutrito pubblico di appassionati ha potuto gustare Jazz di prim’ordine, suonato da musicisti di prim’ordine. Il progetto, a firma di Andrea Biondi, si chiama Pacman Nemesis e vede Andrea Biondi (vibrafono, live electronics) con Daniele Tittarelli (sax alto), Enrico Bracco (chitarra), Jacopo Ferrazza (contrabbasso), Valerio Vantaggio (batteria). Presentano il loro disco, da poco inciso ed in cerca di una etichetta.

Pacman, famoso gioco elettronico dei primi anni Ottanta, è la metafora dell’uomo, costretto ogni giorno a correre e cacciare fantasmini. Ed è proprio il campionamento del suono a 8 bit, colonna sonora del videogame, ad aprire la serata. I brani, per la maggior parte a firma di Biondi, denotano un certo gusto funky, ed un marcato utilizzo delle strutture ritmiche dispari (gli anglofoni direbbero odd meters, dove odd significa anche strano, bizzarro, ed è probabilmente questo l’obiettivo di Biondi, rendere palpabile il senso di estraneità dell’uomo alla sua vita stessa).

Si parte con Nomen Omen, caratterizzato da un tema con una parte A funky ed una parte B swing.  Il primo solo è per Tittarelli, il cui sound non manca di accarezzare con decisione le volute del brano, rimanendo distaccato come una nave dal faro. Il suono è misurato, mai strabordante; spesso si avventura fuori dalla tonalità ma vi rientra con incredibile naturalezza.

Ambarabà è il secondo brano, anche questo sui colori del funky ma che sul primo solo, eseguito da Biondi, si apre completamente perdendo una struttura ritmica propriamente detta e lasciando spazio al leader per evolvere in un fraseggio liquido, a tratti scoglioso, sempre eufonico e con impercettibili ma caratterizzanti strizzate d’occhio alla musica contemporanea. Il brano sfrutta poi degli scambi sax-chitarra, reiterati ad libitum, a creare una tensione crescente, fino ad una inaspettata chiusura. Parte l’applauso, ma poi il contrabbasso riattacca ed introduce il tema finale, che chiude davvero il pezzo.

È il momento di un brano a firma di Bracco, Alis in 3, un tre quarti ispirato che parte con una intro di chitarra sola seguita dal tema, esposto dal sax. Qui Biondi lascia generosamente la scena ai suoi comprimari scegliendo di non eseguire il solo, dando spazio prima al bravo Bracco e poi al sax di Tittarelli.

Anche il successivo brano, Keka, vede Bracco ad introdurre con un guitar solo, stavolta quasi esoterico, per via dell’utilizzo creativo di alcuni effetti. Il mood diventa poi poliritmico, sax e chitarra espongono il tema quindi parte il solo di vibrafono. Forse questo ed anche il successivo brano, Pacman Changes, sono la parte più rappresentativa del lavoro, dove quel senso di estraneità si manifesta con forza ma anche con una sorta di insita rassicurazione, che in fondo se il mondo è sempre andato così allora ce la possiamo fare, per intere generazioni siamo sopravvissuti al “logorio della vita moderna”, e dunque perché disperarsi?

La serata vola via entusiasmante, con le vibrazioni che ci avviluppano e la temperatura che sale, con un altro brano di Bracco, il Blues del gatto nero e Joe (dedicata al vibrafonista Joe Locke).

Ci aspettiamo un grande interesse delle etichette discografiche per questo lavoro, che speriamo dunque di veder presto pubblicato. E vi invitiamo a comprare il disco, quando uscirà. Anche se, come sanno bene i nostri lettori, nulla è più entusiasmante che sedersi al tavolino di un club ed ascoltare un vero vibrafono sorseggiando del buon vino.

Jazz Talk: due chiacchiere con Andrea Biondi

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It’s Jazz Talk: due chiacchiere con Carlo Petruzzellis

Ieri sera, all’Auditorium del Massimo, Carlo Petruzzellis (chitarra, synth) ha presentato il suo disco, N.EX.T.,  insieme ai compagni di viaggio Giuseppe Russo (sassofoni), Francesco Pierotti (contrabbasso), Valerio Vantaggio (batteria). Lo abbiamo avvicinato dopo il concerto, ed ecco quello che ci ha raccontato.

[Jazz@Roma] Carlo, abbiamo ascoltato un bel concerto stasera! Parlaci di come e quando è nato questo progetto.

[Carlo Petruzzellis] Dopo vari esperimenti “elettrici” e varie formazioni, a fine 2010 si è consolidato il gruppo come lo avete ascoltato oggi. Per selezionare i brani che poi avremmo inciso, non abbiamo fatto altro che suonare dal vivo, e solo quando siamo arrivati ad una certa maturità e padronanza dei brani siamo andati in studio.

[J@R] Ascoltandoti ho avuto la percezione di un doppio registro: per cominciare, i temi rivelano invariabilmente un grande senso della melodia, e forse il tuo essere del sud ha qualcosa a che fare con questo… quando suoni gli assolo, invece, percepisco una forte influenza rock, unitamente ad un uso frequente di sequenze e riff.

[CP] In passato sono stato onnivoro! Ho ascoltato tantissimi chitarristi, non importava che suonassero flamenco, metal, rock, jazz…  L’importante era che fossero bravi, che mi facessero scoprire tutti i segreti della chitarra. Sono partito da Pat Metheny, a 14 anni, passando poi per Steve Vai, Joe Satriani, Dream Theatre, Joe Pass, Jim Hall, Paco De Lucia… Ho ascoltato tutto! E credo che ciò che si ascolta, quando suono, sia la somma di questo “tutto”.

[J@R] Un’altra cosa che ho notato è il gusto per l’arrangiamento. Che importanza ha per te, rispetto alla composizione?

[CP] Ritengo che composizione ed arrangiamento abbiano pari importanza. Una bella composizione, non arrangiata, o per la quale le varie sezioni non siano ben valorizzate, risulta brutta. A me piace comporre arrangiando a sezioni complete, che poi una volta unite danno forma al brano.

[J@R] Il sintetizzatore: ho scoperto – con piacere – che lo usi con grande sensibilità e sapienza! Anche qui c’è lo zampino di Metheny?

[CP] Molto! (ride, ndr)

[J@R] Come sei arrivato a questo tipo di suono, con il guitar-synth?

[CP] Intanto, ho una laurea in ingegneria elettronica. Dunque ho voluto unire le mie conoscenze tecniche e la musica. Il synth, e l’effettistica in generale, ti permette di sbizzarrirti, mescolando i suoni. Ma più che usare il synth alla Pat Metheny, con il suo suono synth di tromba, per esempio, mi piace creare suoni di pad.

[J@R] Ho avvertito l’utilizzo dell’LFO, tra l’altro… C’è dunque una programmazione specifica, non ti limiti ad usare i preset…

[CP] Sì, ed anche sugli effetti c’è stato un lavoro di riprogrammazione della pedaliera, in modo da splittare i vari canali: canale distorto, canale pulito, mescolati con il pedale del volume, che però controllava il gain della distorsione! Insomma, voglio avere il controllo di tutte le componenti sonore, mescolandole come su un mixer (che tra l’altro è integrato nel mio setup). Lo scopo è unire e miscelare tante sonorità. Perché ad usare il preset, si usa qualcosa che probabilmente ha già usato qualcun altro, e non va bene! (ride, ndr)

[J@R] Nonostante questa tua dedizione alla programmazione, nonostante la laurea in ingegneria elettronica… nonostante tutto questo, l’uso che fai del synth è del tutto dosato e non ridondante!

[CP] Alla fine credo che il buon gusto debba dominare. Il synth è bello, ma c’è un pericolo: se strafai, diventa brutto. O lo dosi, e crei una pasta sonora, o diventa pacchiano. Per questo cerco di non usarlo in tutti i brani, e quando lo uso cerco di fare in modo che crei amalgama, anche perché non avendo un tastierista nel gruppo, la chitarra ha qui anche il compito di riempire, usando layer sonori che si devono poter percepire senza essere invadenti.

[J@R] È importante l’affiatamento con i musicisti del tuo gruppo?

[CP] Probabilmente, in un gruppo come questo, è impossibile sostituire un musicista all’ultimo momento. Questi brani vanno suonati e risuonati in modo che tra tutti noi si crei un’empatia che ci permetta di intenderci senza segnali. Poi tra noi c’è un ottimo rapporto umano, ed una intesa che ci consente di capirci al volo. E poi ci conoscevamo già per aver suonato insieme anche in altri progetti.

[J@R] Come avete pianificato la promozione del vostro disco?

[CP] L’intento principale è promuoverlo il più possibile nei live, perché ritengo che questo tipo di musica renda più dal vivo che su disco. È una questione di energia, che il disco – o meglio – le casse del PC, non possono assolutamente rendere! Purtroppo, apro questa parentesi, nonostante tutto lo sviluppo tecnologico che c’è stato, la qualità della musica che ascoltiamo è calata.

[J@R] Anche perchè spesso la si ascolta nei formati compressi…

[CP] Infatti, considerando che adesso si può registrare fino a 192 kHz, portare poi il brano a 44.1 kHz e comprimerlo in mp3… è come uccidere! E chiudo la parentesi! Per tornare alla tua domanda, stiamo pianificando una serie di date, compatibilmente con la difficoltà economica del periodo di crisi generale.

[J@R] E allora, visto che prediligi il suono dal vivo, spero che ti farà piacere essere stato intervistato sul nostro blog, che si occupa prevalentemente dei live jazz a Roma. Grazie, e in bocca al lupo!

[CP] Grazie a te, è stato un piacere!

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Biografia di Carlo Petruzzellis

Intervista a Carlo Petruzzellis (versione radiofonica)

Sintetizzatore

LFO

Seconda settimana al Massimo Jazz

Seconda ed ultima settimana al Massimo Jazz, rassegna di gruppi Jazz con un disco in uscita, organizzata dall’Associazione Culturale 28DiVino Jazz e curata dal direttore artistico Marc Reynaud.

La prima serata di questa seconda parte prevede, giovedi 27 giugno, l’esibizione del progetto N.EX.T.”New EXperiences Time”, il cui disco è in uscita per Zone di Musica. Carlo Petruzzellis (chitarra), Giuseppe Russo (sax), Francesco Pierotti (contrabbasso), Valerio Vantaggio (batteria), danno vita a “esperimenti sonori indirizzati alla ricerca di una libertà musicale svincolata da ogni barriera stilistica”, accostando elementi timbrici e ritmici del Jazz, della Classica, del Latin e del Pop.

Venerdi 28 giugno è la volta di “DISTOPIA” N.O.T, per l’etichetta Brigadisco Records in un progetto di condivisione gratuita Grapevine Telegraph (http://www.grapevinetelegraph.joomlafree.it/). Marco Colonna (sax tenore), Luca Corrado (basso elettrico), Cristian Lombardi (batteria), presentano un lavoro di avanguardia, non facile ma che ha ricevuto numerosi apprezzamenti di critica.

Sabato 29 giugno il Massimo Pirone Quartet presenta WAITING, per la Kyosaku Records, con Massimo Pirone (trombone), Andrea Biondi (vibrafono), Luca Pirozzi (contrabbasso), Pietro Iodice (batteria). Il progetto, originale, è un omaggio a Frank Rosolino, Cootie Williams e Johnny Mandel.

La rassegna si chiude domenica 30 giugno con la presentazione di ALTRA CORSA, ALTRO GIRO  (per Zone di Musica), del Matteo Cona Quartet, con Matteo Cona (chitarra), Augusto Pallocca (sax tenore), Dario Germani (contrabbasso), Stefano Mazzuca (batteria). Il disco rappresenta un diretto riferimento all’infanzia e adolescenza del compositore Cona, infanzia trascorsa nel mondo del Luna Park.

Le metamorfosi di Andrea

Parte dalla mitologia e sconfina nella filosofia il discorso musicale di Andrea Gomellini. Il tema del mutamento continuo, così come rappresentato nella tradizione letteraria e mitologica dagli esseri mutaforma, viene stavolta preso a spunto per farne una metafora della vita, delle emozioni, dei sentimenti. E tale concetto è ben rappresentato nella musica, ancor più che nel titolo del disco e nei titoli delle varie tracce.

Siamo alla serata inaugurale della rassegna Massimo Jazz, all’Auditorium del Massimo, curata da Marc Reynaud, direttore artistico dell’Associazione Culturale 28DiVino Jazz. Andrea Gomellini, chitarrista e compositore, presenta il suo cd Met@morfosi, edito da Zone di Musica. Andrea è accompagnato da Claudio Corvini alla tromba, Luca Pirozzi al contrabbasso e Valerio Vantaggio alla batteria.

Andrea Gomellini è un chitarrista sensibile, che spiega nei dettagli l’ispirazione di ogni brano mettendosi quindi a nudo, come ha modo di confessare durante la serata. Ma è sicuramente un nudo artistico, che non disturba, anzi. Le sue riflessioni più profonde prendono subito forma nel primo brano, Metamorfosi, che alterna due momenti diversi, rispettivamente nella parte A, dove il tema si sposta liquidamente sfruttando sapienti cambi di tonalità, e nella parte B del brano, che diventa a tratti swing e a tratti di ispirazione hardbop. Morbidamente doppiata la chitarra dalla tromba (o forse potremmo dire che è la chitarra a doppiare la tromba?), il brano muta il tempo ed il senso, traportandoci in un continuum spazio-temporale. Già sento che sto cambiando forma: le mie braccia sono delle pinne. Poi, Le luci di Anher, ballad raffinata e cantabile, un ulteriore cambio di registro. Il tema viene snocciolato in incastri melodico-ritmici, mentre gli assoli vengono giocati sui sedicesimi di un ritmo latin. Anche i musicisti stanno cambiando: Corvini sembra un gabbiano, che sorvola il mare in cerca della preda, e controlla l’acqua con sguardo acuto ed esperto.

E se con Il cerchio di Alice, che se non fosse un 3/4 potrebbe sembrare un brano di Satie, si muta ancora, stavolta verso la forma canonica del jazz waltz, già verso la fine del brano l’ambiente si surriscalda, con Vantaggio a scomporre i quarti di una improvvisazione collettiva, dove tromba e chitarra si rincorrono, salvo essere qua e là calamitate dalle frequenze di Pirozzi, che anche lui non sfugge alla metamorfosi, e si trasforma pian piano in marinaio, al timone di questa nave che muta in barca e poi in peschereccio. Inaspettato blu arriva. Inaspettato davvero? Forse sì, ma nemmeno tanto. Perché quello che di sicuro non manca, alla vena compositiva di Gomellini, è l’istinto del lupo di mare. Sa molto bene, Gomellini, quando osare e portare l’ascoltatore in mare aperto, tra le onde impetuose dei vortici armonico-ritmici, e quando riportarlo in porto, tra le rassicuranti note di una rumba.

C’è poi Enteos, funky con una radice swing, che rappresenta l’entusiasmo, ma anche il dio che è in ognuno di noi (dal greco en theos, come ha modo di spiegare Gomellini). Ma la metamorfosi non si ferma mai, e neanche nell’apparentemente rassicurante bridge di questo brano si può stare tranquilli, e infatti Gomellini ci piazza una battuta dispari. A questo punto siamo fregati,  siamo cambiati tutti: noi ascoltatori, i musicisti, ed anche l’Auditorium del Massimo è diventato una limousine ad otto ruote, che si aggira nella notte di Roma. Scorrono altri brani, ma noi siamo usciti da noi stessi e rientrati mille volte. Le barriere sono saltate. Adesso, sappiamo che tutto è possibile.

Met@morfosi, Zone di Musica, 2013 – Metamorfosi/Le luci di Anher/Il cerchio di Alice/Inaspettato blu/Enteos/Kaka’s danza/Mrs K.B./Nanà/Le 8 ruote – Andrea Gomellini (chitarra), Claudio Corvini (tromba), Luca Pirozzi (contrabbasso), Andrea Nunzi (batteria)

Al via la rassegna Massimo Jazz

Il 20 giugno inizia la rassegna Massimo Jazz, all’Auditorium del Massimo, con il dichiarato scopo di presentare artisti che abbiano inciso un disco di propri brani originali. Sicuramente una boccata d’aria fresca nell’asfittico panorama italiano, che troppo spesso propone i soliti noti e non lascia spazi né ai giovani né a quelli che erano sì, giovani, ma che ormai già da anni  calcano (con successo) la scena musicale.

La rassegna si apre con il quartetto di Andrea Gomellini, che presenta il cd Met@morfosi (Zone di Musica). Gomellini, coadiuvato da Claudio Corvini (tromba), Luca Pirozzi (contrabbasso) e Valerio Vantaggio (batteria), presenta il suo disco come testimonianza di un “momento intimo della sua carriera artistica”. Melodia, dunque, che si inserisce però in strutture moderne e mutanti, come in una continua e perenne metamorfosi.

Venerdì 21 giugno vede l’esibizione del Gabriele Buonasorte Quartet a presentare il disco Forward (NAU Records), con Angelo Olivieri (tromba, flicorno), Mauro Gavini (basso elettrico), Mattia Di Cretico (batteria). Il disco combina atmosfere ritmiche di varia origine con jazz modale, “a tratti audace nelle sue diramazioni free“.

Sabato 22 giugno è la volta di Gloria Trapani e del suo disco Rough Diamond (Terre sommerse), con Luigi Di Chiappari (piano), Alessandro Del Signore (contrabbasso), Mattia Di Cretico (batteria). Ogni brano è una fotografia di un momento vissuto, a raccontare l’emozione di un incontro, di un viaggio, di un ricordo, di un libro, come la title track Rough Diamond, ispirata alla storia di Yvette Szcupak Thomas, pittrice francese vissuta nel ’900. Ricerca melodica ma anche ritmiche aperte e sospese, a volte funky e R&B.

Domenica 23 giugno l’Hic Et Nunc Quartet presenta in anteprima il disco Play Verdi, prodotto con il sistema del crowdfunding. Agli spettatori sarà possibile, versando un contributo, diventare produttori del disco stesso. Nicola Puglielli (chitarra), Andrea Pace  (sax, ewi), Piero Simoncini (contrabbasso), Massimo D’Agostino (batteria) ci guidano in un viaggio jazzistico all’interno della produzione Verdiana, dove le melodie proposte sono proprio quelle originali, “in tutta la loro bellezza”.

La rassegna prevede 8 date, dal 20 al 30 giugno, sempre nei giorni di giovedì, venerdì, sabato e domenica, con inizio alle 21.45. Per i dettagli vi rimandiamo alla pagina ufficiale dell’Auditorium del Massimo

Sogni

Il primo sogno lo faccio entrando al 28DiVino: locale pieno, persone sedute ovunque, molti ragazzi. Un colpo all’occhio (e al cuore) per chi, come me, ritiene che i giovani si avvicinerebbero molto di più al Jazz e alla Musica se non fossero distratti e indottrinati dall’industria discografica (o quello che ne rimane) e dalla televisione. Ma stasera tutto può cambiare. Sì, sembra di essere tornati al tempo in cui un disco era una cosa importante, perché alla presentazione di Träume, del trio Corvini-Ferrazza-Vantaggio, ci sono tutti: ci sono molti musicisti, che scorgo qua e là tra il pubblico; c’è Daniele Vantaggio, musicista elettronico fratello del batterista, che ha registrato e prodotto il disco; c’è Aki Bergen, che lo ha mixato e coprodotto; c’è lo staff di Zone di Musica; c’è un mare di persone le più diverse. Una folla da grandi eventi.

Il trio è di quelli pianoless ed è composto dal senior Claudio Corvini alla tromba e al flicorno e dai giovani Jacopo Ferrazza al contrabbasso e basso elettrico e Valerio Vantaggio alla batteria. Corvini, trombettista di fama, che “impara dai ragazzi”, come ha avuto modo di raccontarmi durante la pausa tra il primo ed il secondo set. Ferrazza, che suona il contrabbasso ma è anche pianista, leader del trio e compositore di tutti i brani del disco.  Vantaggio, batterista raffinato con influenze drum ‘n’ bass.

La scaletta del concerto segue pedissequamente la tracklist del disco. Una scelta teutonica, come la lingua usata per il titolo del disco, Träume (Sogni). Scelta probabilmente dettata da una esigenza di chiarezza formale, che si esplica non solo nel linguaggio musicale ma anche nella forma.

Il sogno è la chiave di questo progetto: sogno come veicolo emozionale e fonte di ispirazione compositiva, usato in chiave artistica e non freudiana, come avverte Ferrazza. Un sogno che frammenta la musica in mille rivoli e influenze, da Herbie Hancock a John Cage passando per Giacinto Scelsi e la musica microtonale, dallo swing al drum ‘n’ bass. L’approccio è di tipo orchestrale, con parti scritte e spazi improvvisativi ben definiti e strutturati, ma anche con ballad suggestive e melodiche, e qui penso in particolare a Sliding Like A Meteor.

Atmosfere diverse, dunque: Träume, la traccia che dà il titolo al disco, che viene attaccata da Corvini, appoggiato solo a tratti da Ferrazza mentre la batteria ha un tacet; La mantide, che inizia con un bello swing poi raddoppiato nei soli, per sfociare nel finale in un rock leggero sottolineato dal contrabbasso suonato con l’archetto, mentre la tromba disegna con la sordina sonorità che si fondono col resto, facendo apparire l’ensemble quasi come fosse un unico strumento; Teal Dreamer, che utilizza la voce campionata di Ferrazza per costruire effetti elettronici senza però mai  stravolgere lo spirito acustico del brano.

Un bel concerto, denso ed elettrizzante, sorretto da brani interessanti ma anche dalla indiscussa bravura dei tre i quali, alla fine di Deep Side Of Insanity, nel secondo set,  si sentono gridare dal pubblico “Mostri!”, a sottolineare la percepita manifesta capacità di tradurre la musica scritta in qualcosa di vivo e coinvolgente.

Un progetto coraggioso, una musica complessa che necessita di un ascolto attento, ma che all’ascoltatore volenteroso offrirà continue sorprese e cambi repentini, non mancando di rassicurare il suo orecchio riportandolo, di tanto in tanto, in territori conosciuti. Perché il sogno non sostituisca la realtà e la realtà non impedisca il sogno.

Träume, Corvini-Ferrazza-Vantaggio
Träume, Corvini-Ferrazza-Vantaggio

Marco Guidolotti 4et @ 28DiVino Jazz

Dopo aver parcheggiato mi sto avviando a piedi su per via Mirandola, in direzione del 28DiVino, e nel tragitto incrocio il bar all’angolo, con sedie e tavolini piene di ragazzi che ammazzano la notte in attesa di andare a dormire. Poco più avanti, vedo una calca gentile che preme sull’ingresso del 28, e allora mi faccio la seguente, forse ingenua, domanda: ma a questi ragazzi che si annoiano sui tavolini di questo bar non viene la curiosità o la voglia di andare a sentire il concerto jazz che si tiene a 50 metri da loro? Mentre ancora la domanda mi frulla nella mente sono già nel club, pronto a immergermi ancora una volta nel Jazz.

La formazione è di quelle senza piano né chitarra: Marco Guidolotti, sassofono baritono, Mario Corvini, trombone, Jacopo Ferrazza, contrabbasso, Valerio Vantaggio, batteria. L’atmosfera è decisamente cool, piena, con arpeggi su accordi diminuiti e swing a tutta manetta. Il richiamo è a Gerry Mulligan, a Bob Brookmeyer e al loro quartetto pianoless. Mario Corvini è il perfetto comprimario di Guidolotti: la nota bravura del trombonista è qui messa al servizio dei brani, senza fronzoli e senza manierismi. Le note del trombone sono là, nell’aria, e all’ascoltatore rimane facile raccoglierle e farne tesoro.  La struttura ritmica è metronomica: preciso e rilassato il walking di Jacopo Ferrazza, attento e mai invadente il drumming di Valerio Vantaggio.

Marco Guidolotti non aspetta e ci coinvolge da subito. Fin dalle prime note, lo swing si impossessa di noi e ci avviluppa nelle sue mobili maglie. Il sassofono baritono si muove agile fraseggiando con grazia e maestria, mentre il trombone risponde con eleganza per niente snob.

Guidolotti non suona, ascolta. Ascolta sé stesso un attimo prima di emettere ogni singola nota, ispirato forse dai tanti ascolti che immaginiamo avrà fatto (al di là del mero studio e dell’analisi dei brani, del fraseggio, della pronuncia e dell’articolazione) dei grandi sassofonisti del passato, il tutto filtrato e rielaborato con personalità e un tocco di verve. Fraseggio cool, scambi di quattro tra i solisti, stop time, sono le cifre di questa serata. Una serata bella, piena di colore e di allegria. Tredici brani, in parte di Mulligan, in parte di Guidolotti, e altri presi dalla grande tradizione, compresa una rivisitazione (abbastanza irriconoscibile ma sicuramente intrigante) di Tea For Two. E un bis finale, Four Brothers di Jimmy Giuffre, bis chiesto unanimemente dal numeroso pubblico presente.

Volano via le due ore di concerto divise in due set, e all’una siamo tutti fuori dal club a chiacchierare. Poco più in là, davanti al bar all’angolo, i ragazzi ci sono ancora, stanchi come se avessero fatto chissà ché, probabilmente svuotati di vita, senza sapere che noi, invece, ne siamo ebbri.

Info su Marco Guidolotti

Marco Guidolotti 4et @ 28DiVino Jazz
Marco Guidolotti 4et @ 28DiVino Jazz

Bernie’s tune